Le riforme che non riformano gli scandali – L’ultimo tentativo governativo di troncare le relazioni pericolose tra sanità e regioni è morto in partenza: la creazione di un albo nazionale per selezionare i direttori generali della sanità pubblica è uno specchietto per le allodole. A fronte di un processo selettivo, il governo non ha chiesto alcuna esperienza in campo sanitario e soprattutto ha tralasciato la creazione di una graduatoria nazionale consentendo così ai governatori di “selezionare” il candidato gradito all’interno dell’elenco.
Stando così le cose, non resta che chiedersi se questo modello potrà ancora a lungo funzionare. “Oggi siamo arrivati al paradosso che il direttore generale è chiamato a garantire il pareggio di bilancio e talvolta ostacola le scelte del medico perché costose”, ha spiegato al Festival dell’Economia di Trento il direttore della scuola di specializzazione in igiene e medicina preventiva del Gemelli di Roma, Walter Ricciardi, che si sta battendo per sfilare la sanità dalle mani delle Regioni. Per quale motivo? “Di fronte alle sfide epocali che attendono il sistema sanitario nazionale, le Regioni non ce la fanno”, sostiene ammettendo che purtroppo cambiare la governance significa intervenire sulla Costituzione per accentrare nuovamente la gestione della sanità a livello nazionale ed evitare discriminazioni locali in un bene così prezioso come l’offerta sanitaria.
Di fronte alle sfide epocali che attendono il sistema sanitario, le Regioni non ce la fanno
Proprio mentre, come ha sottolineato sempre a Trento Licia Petropoulacos della Direzione generale Sanità e politiche sociali e integrazione dell’Emilia Romagna, ci sono diverse regioni che “stanno lavorando su richieste di potenziamento dell’autogoverno regionale sulla base del comma 3 dell’articolo 116 della Costituzione”. Da due tre anni a questa parte, ha ricordato, “l’elemento di maggior discussione fra le regioni è legato proprio al fatto che le regioni che presentano sia degli indicatori di salute meno favorevoli che degli indicatori di deprivazione sociale più preoccupanti, richiedono con forza che di questi si tenga conto anche nell’ambito riparto del fondo sanitario. È una discussione aperta, è partito un gruppo di lavoro che tenterà anche di cercare delle soluzioni che però si muovono molto sul filo del rasoio”.