La una terza via: a ciascuno il suo – “Probabilmente la soluzione più ragionevole è quella di un decentramento differenziato”, spiega ancora Fattore. Come funziona? “E’ importante che il livello centrale decida nello specifico cosa fa e cosa non fa, non portando avanti una specie di strategia generalizzata di riacquisizione trasversale dei poteri sulla sanità. Deve essere fatta una cosa molto più intelligente nel capire quali competenze specifiche possono essere riportate o gestite al centro, quali devono rimanere in periferia e quali sostanzialmente devono essere cogestite”.
Per esempio uno dei punti critici su cui sbagliò la riforma venticinque anni fa, secondo il professore, è stato lasciare alle regioni tutti i sistemi di accreditamento: “Noi siamo un Sistema sanitario nazionale in cui sono le regioni a decidere se gli erogatori pubblici e privati hanno i criteri per poter stare nel Ssn. Quindi i criteri variano da regione a regione in un sistema in cui poi i cittadini possono scegliere la regione che vogliono…irragionevole pensare che ci siano diversi standard minimi in Lombardia e in Veneto: i criteri di valutazione e gli standard minimi per operare nel Ssn devono essere uguali. Quella fu una cosa che fu decentrata e probabilmente andrebbe ricentralizzata, mentre tutti gli aspetti relativi all’organizzazione, le modalità di finanziamento, le convenzioni, qui c’è bisogno di margini di autonomia perché i contesti sono diversi”.
Un errore della riforma di 25 anni fa è aver lasciato alle regioni tutti i sistemi di accreditamento: così in Lombardia e in Veneto ci sono standard minimi diversi
Quanto alla scelta della dirigenza, secondo il professore siamo su un terreno più accidentato, dove pesa anche la riforma Madia: “Mi sembra ragionevole che ci sia un qualche ruolo nazionale nel creare la lista dei direttori generali, che sono le persone che hanno le competenze sufficienti per andare a ricoprire un ruolo apicale in aziende che sono particolarmente complesse anche rispetto a imprese di medie dimensioni del settore privato … Il problema è ancora una volta che lo Stato italiano non è in grado di farlo, perché poi alla fine diventerebbe un grande recinto burocratico, se non una specie di esame a cui partecipano migliaia di candidati, e quindi formalmente potrebbe anche essere una buona idea ma nei fatti non mi aspetto che ne venga fuori uno strumento in grado di filtrare i direttori generali. Sono scettico sulle capacità dello Stato italiano di mettere in piedi un sistema in grado di discriminare chi può fare il direttore generale di un’azienda, che tipicamente è una valutazione di competenza manageriale non di conoscenza del diritto, della matematica o della medicina. Capisco l’esigenza di non lasciare tutto in mano alle regioni, ma non è credibile che si riesca a scegliere bene così”.