“Riaumentare i poteri dello Stato nella sanità”. Per il ministro Beatrice Lorenzin è questa la strada maestra da percorrere per ricostruire e rendere più efficiente il Sistema sanitario nazionale. Anche perché, sostiene, l’obiettivo di responsabilizzare la politica locale con il decentramento regionale è miseramente fallito per un meccanismo che ha prodotto “scarsi risultati”. Per questo oggi il governo Gentiloni ritiene necessario correre ai ripari. Anche a dispetto della sconfitta referendaria dello scorso dicembre quando il fronte renziano del sì, Lorenzin inclusa, aveva proposto anche una riforma del Titolo V, l’autonomia delle Regioni. “La mia soluzione iniziale ai problemi della sanità, che ribadisco essere sempre la principale, è quella di aumentare di nuovo i poteri dello Stato – ha detto il ministro della Salute nel corso suo intervento all’ultima edizione del Festival dell’economia di Trento dedicato alla Salute disuguale – Il che non significa eliminare l’autonomia delle Regioni che ce l’hanno o non permettere l’autonomia sanitaria. Significa fare quelle cose che vengono fatte anche nel più grande stato federale del mondo che sono gli Stati Uniti, per cui poi le politiche sanitarie vengono ricondotte, quando sono politiche pubbliche collettive, a una linea dove gli altri si adeguano. Significa inoltre anche avere la possibilità di un sistema di monitoraggio e di controllo più forte e quindi intervenire non solo quando i buoi sono usciti dal recinto, ma impedire che i buoi escano. E quindi rafforzare il recinto”.
Il ministro ritene in particolare doveroso intervenire perché la modifica del titolo V della Costituzione è stata “una riforma drammatica per il Servizio sanitario nazionale”. In sintesi, secondo Lorenzin con quella revisione che ha dato autonomia alle Regioni si è inaugurato “un meccanismo perfetto che ha fatto esplodere la spesa sanitaria a fronte di un indebitamento tale che aveva portato quasi al crac finanziario di molte regioni cui non ha corrisposto nessun tipo di miglioramento del servizio nella qualità”. Non solo: anche il sistema del commissariamento, secondo la Lorenzin, ha funzionato male perché i commissari non avevano i “mezzi adeguati all’obiettivo da raggiungere”, ha ammesso. “I subcommissari, che non potevano rimuovere persone o nominare direttori generali, sono stati dei ratificatori del tavolo quello famoso al Mef dove si dicevano dei parametri e così si andava avanti – ha quindi rincarato la dose – Questo tipo di meccanismo, che è un meccanismo molto burocratico, ha funzionato con l’accetta per quanto riguardava le questioni amministrative” e le problematiche di budget. Con il risultato che alcune regioni hanno anche diminuito il debito, “ma accanto alla diminuzione del debito non c’è stato nessun miglioramento del servizio, anzi hai un peggioramento”, ha quindi puntualizzato il ministro che prospetta a breve termine una riforma del meccanismo di commissariamento delle Regioni.
Intanto, senza “rinnegare la propaganda referendaria per la riforma del Titolo V della Costituzione”, il ministro Lorenzin rivendica un primo risultato raggiunto già nei nuovi meccanismi di nomina dei direttori generali. “Finora i direttori generali delle Asl venivano scelti dalla politica: quando c’è un’Asl che funziona, allora vuol dire che la politica ha scelto bene. Quando c’è un’Asl che non funziona vuol dire che la politica ha fallito”, è la sua sintesi. “Negli anni si è provato a fare delle norme che togliessero questa discrezionalità, ma erano tutte norme aggirabili: fatta la legge, trovato l’inganno – ha ammesso ancora – Ma poi i politici fanno così perché c’è una concezione del sistema salute a livello anche amministrativo che la sanità è il luogo che ti dà voti. I voti la sanità te li dà se la sanità funziona, se non funziona, perdi. Questa è la lezione che io ho imparato in tanti anni dove pessime regioni con amministratori non capaci hanno poi perso”. Per la Lorenzin, quindi, con la riforma Madia sugli incarichi ai direttori generali delle Asl, le cose cambiano perché “c’è un albo nazionale, tanto per innalzare il livello della selezione”, una commissione nazionale e infine un procedimento di selezione su cui però l’ultima parola è del presidente della Regione. Un meccanismo che inizialmente circoscriveva il raggio d’azione dei governatori, ma che nell’ultima versione del testo è stato modificato ampliando i margini di manovra del presidente della Regione. Un passo avanti e uno indietro, insomma.