Dopo il caso di Hacking team, arriva lo stop per la multinazionale di Varese, già sospesa nel luglio dello scorso anno
Il Ministero dello sviluppo economico (Mise) ha revocato tre giorni fa la licenza per l’esportazione in Egitto di Area Spa, multinazionale con sede a Vizzola Ticino, in provincia di Varese, che vende molti Paesi del mondo software spia e sistemi di spionaggio. Si tratta di una revoca definitiva dopo che da luglio 2016 la licenza era stata “sospesa” dalla Direzione Generale per la politica Commerciale Internazionale del Ministero dello Sviluppo economico. La società non ha voluto commentare la notizia. È la seconda volta che il Mise revoca una licenza, dopo averla tolta nel 2016 alla Hacking Team, l’azienda di Milano che vendeva servizi di sorveglianza simili a diversi regimi, i cui nomi sono stati resi pubblici dopo che un gruppo di hacker ne ha bucato il sistema di protezione dati due anni fa.
La prima sospensione è arrivata perché il ministro Carlo Calenda, a seguito di diverse interrogazioni parlamentari, è intervenuto chiedendo un nuova analisi della richiesta di Area. In aula, il ministro Calenda ha fatto riferimento come “utilizzatore finale” del software spia ai servizi segreti egiziani. A dicembre 2016 la Procura di Milano ha aperto una doppia indagine sulla società. Tra le accuse c’è anche quella di aver venduto all’intelligence della Siria di Assad tra il 2010 e il 2011 dei servizi di sorveglianza, quando formalmente la licenza di esportazione rilasciata dal Mise doveva essere per la vendita alla compagnia telefonica siriana.
Ci sono numerose domande che restano senza risposta, tra cui cosa abbia esportato esattamente Area in questi anni. Inoltre, con quali Paesi la società aveva rapporti commerciali e quante società, come Area, vendono software intrusivi a regimi o a Paesi in cui la vita di oppositori politici e attivisti è in pericolo? Tra maggio e dicembre 2016 ci sono stati quattro tentativi di organizzazioni non governative e giornalisti di accedere a questi dati. L’esito è stato sempre lo stesso: non si possono conoscere i nomi delle aziende che esportano software intrusivi all’estero. Inoltre non si può conoscere la lista dei Paesi destinatari e nemmeno la tipologia di dual use che viene esportata per tutelare i privati e per motivi di sicurezza nazionali, visto che il doppio uso di questi strumenti, definiti da Julian Richards, ex di GCHQ, le armi nucleari del 21esimo secolo, comprende anche quello militare. Per arrivare ad una revoca è stata necessaria un’indagine della procura, mentre a riaccendere i riflettori su questi affari è stata la morte Giulio Regeni, ucciso nel Paese di destinazione dei software spia.
“La situazione mostra in modo esemplare la sempre più pressante necessità di trasparenza sulle licenze e sui Paesi coinvolti. Non possiamo aspettare che ci siano altre inchieste (come quella in corso) e gravi casi pubblici per agire”, dichiara Antonella Napolitano della Coalizione Italiana Libertà e Diritti civili (CILD), una delle ong che per ultime hanno invano cercato di conoscere la lista dei Paesi verso cui gli italiani esportano software di sorveglianza. Al contrario di quanto dichiarato dal Ministero, per la CILD “dalla divulgazione delle informazioni che chiediamo non deriva alcun danno alle aziende nazionali in termini di competitività, né vi è alcuna minaccia per la sicurezza nazionale, in quanto non sono presenti dettagli privati sull’esportatore né sugli utenti finali”.
Il caso Area rischia di non rimanere isolato. E il sospetto viene dalle parole di Marco Braccioli, direttore divisione commerciale di Area. Intervistato attraverso un collaboratore sotto copertura da Al Jazeera nel documentario Spy Merchants, Braccioli spiega perché le autorità stiano investigando su di loro: “Noi siamo soltanto i primi della lista perché Area inizia con la “A””.
di Lorenzo Bagnoli e Alessia Cerantola