I cristalli tintinnavano schietti sotto lo scintillio dei lampadari di palazzo Marino, il 23 dicembre 1994. “L’effetto-lambada che finora lo ha sorretto è in calo e sta per finire“, gigioneggiava Marco Formentini sollevando il calice di prosecco dinanzi al naso dei cronisti per il brindisi di Natale. Il giorno prima, alla Camera, Silvio Berlusconi aveva denunciato il tradimento di un Umberto Bossi reo di aver tolto l’appoggio al suo governo, chiedendo di tornare alle urne: “Ormai Berlusconi è politicamente in fase calante. Ha perso il cavallo e ora gli tocca andare a piedi”. Fu cattivo profeta il sindaco leghista di Milano, precipitoso nel dichiarare la morte politica del Cavaliere che in sella sarebbe non solo rimasto, ma avrebbe governato o influito ancora a lungo sulle sorti del Paese. Ma sono stati decine i flute improvvidamente incrociati negli ultimi 23 anni: segretari di partito, peones, politologi, filosofi, giornalisti, scrittori dribblati l’uno dopo l’altro dal leader di Forza Italia. Memorabile il “game over” sentenziato nel 2013 da Matteo Renzi. Grazie alla cui strategia (leggi, latitanza prima del voto) il Cavaliere è risorto alle Comunali. E ora Pd e M5s dovranno fare i conti con lui anche alle prossime politiche.
Il peana delle prefiche gaudenti si è levato puntuale dopo ogni chiamata alle urne in cui il suo ascendente sui moderati d’Italia dava segni d’offuscamento. Nel 2004, mentre Forza Italia usciva con le ossa rotte dalle europee e il centrosinistra cominciava ad auspicare come l’ingresso di Cristo a Gerusalemme il ritorno in Italia di Romano Prodi, perfino uno come Ilvo Diamanti falliva la messa a fuoco della fotografia del premier: alla vigilia delle europee del 1999, spiegava il politologo, “nacque la Casa delle Libertà con l’unico dominus Silvio Berlusconi. La principale indicazione che esce dalle elezioni di ieri è che quel dominus è finito“. Peccato veniale al cospetto dell’abbaglio firmato, pochi giorni dopo, il 28 giugno, da Luciana Sbarbati: “E’ finito Berlusconi, ma anche il berlusconismo“, sentenziava la leader dei Repubblicani europei commentando i risultati delle contemporanee amministrative.
Un’altra sconfitta e il coro riprende. Nella primavera del 2005, all’indomani del ko alle regionali e della caduta del secondo governo Berlusconi, è Massimo D’Alema a pronunciare la fatidica formula. Ma, furbo come non mai, lo fa per interposta persona: “Marco Follini ha chiaramente detto che è finito il tempo di Berlusconi” – spiegava, commentando l’intervento del leader dell’Udc al congresso del partito che con An e Nuovo Psi il 15 aprile aveva causato la crisi, il presidente dei Ds. Che nel 2010 ci metteva invece la faccia, ovviamente sbagliando: “Una larga maggioranza degli italiani ritiene che Berlusconi abbia fatto il suo tempo – spiegava il 13 novembre il Lìder Maximo commentando i sondaggi – secondo me è un dato inequivocabile“. Segue campionario minimo di cantonate dell’epoca: “E’ finita l’era Berlusconi” (Fausto Bertinotti, 5 aprile 2005); “E’ finita l’esperienza politica di Berlusconi (Rosi Bindi, 12 aprile); “L’era Berlusconi è finita, senza dubbio” (Walter Veltroni, 28 maggio: i dubbi gli sarebbero venuti tre anni dopo, sull’aereo che lo portava in Africa).
Un crescendo che si era riverberato per tutto il 2006, anno in cui Prodi regalò al centrosinistra la seconda vittoria della sua storia e un’illusione: “La crisi del berlusconismo è nei fatti. Si vede. E si sente”, sognava il presidente della Margherita Francesco Rutelli, intervistato da La Repubblica il 20 gennaio, mentre i mesi scivolavano veloci verso le politiche di primavera. Appuntamento importante in vista del quale i campioni della divinazione politica lucidavano la sfera di cristallo. “Il tempo di Berlusconi è finito“, preconizzava il 22 marzo alla stampa estera uno che con le previsioni ha sempre mostrato di saperci fare: il segretario dei Ds Piero Fassino, lo stesso che nel 2009 avrebbe fatto la storia della preveggenza: “Grillo fondi un partito e vediamo quanti voti prende”. Sempre meglio di Bertinotti, che non aspettò neanche la fine dello spoglio dei voti: “Il lungo periodo berlusconiano è finito. E anche questo voto lo dimostra”, sorrideva il leader di Rifondazione alle 20.22 del 10 aprile, giorno in cui una manciata di italiani affidò il governo del Paese alla raffazzonata Unione di Prodi.
Con il presunto cadavere politico ancora caldo e l’Armata Brancaleone di centrosinistra preda dei primi scricchiolii, nel centrodestra si comincia a parlare di successione e gli avversari gongolano: “Berlusconi ha finito la sua spinta propulsiva e non sa andare oltre la ripetizione di se stesso. Nella Casa delle Libertà c’ è la consapevolezza che non può essere ripresentata la sua leadership“, annunciava infiammando la festa della Margherita il 7 settembre il vicepresidente della Camera Pierluigi Castagnetti. Seguito il 6 dicembre da Rocco Buttiglione: “Il ciclo politico di Berlusconi è finito,- com’è finito quello di Aznar, Kohl e persino di quello di Blair che ha vinto le elezioni. E in amicizia è il caso di farglielo capire. Lo accompagneremo all’uscita“. Che il Cavaliere naturalmente non vide, riuscendo anzi a vincere le politiche del 2008.
Quando però il 7 novembre 2010 , pochi mesi dopo il leggendario “Che fai, mi cacci?” del 22 aprile, alla convention di Fli di Bastia Umbra Gianfranco Fini intimava all’alleato di “rassegnare le dimissioni e aprire la crisi di governo. O noi andremo fuori dal governo”, il momento finalmente sembrava arrivato. “Fini ha sancito la fine del centrodestra – si fregava le mani il governatore della Puglia Nichi Vendola – la parabola di Berlusconi è finita”. “Come Schumacher, Berlusconi non hanno capito che la partita è finita“, si accodava il sindaco di Bari Michele Emiliano.
Invece passava un altro anno e nel 2011 le sibille riprendevano voce. E’ l’annus horribilis del Cavaliere, segnato dal montare quotidiano della marea mortifera chiamata spread. Il Rubygate non gli dà respiro, e dall’opposizione si comincia ad auspicare un suo passo indietro: “E’ chiaro che l’era berlusconiana è finita”, dice il 20 maggio Antonio Di Pietro. Che raddoppia il 12 settembre, mentre lo spread riprende la corsa e Standard & Poor’s declassa l’Italia: “E’ successo anche a Saddam e Gheddafi, E’ la fine del regime. E come tutti i regimi che sono alla fine, se ne accorgono tutti, meno il diretto interessato”. L’8 luglio, mentre il Paese scivola lentamente tra i Piigs, Enrico Letta pronuncia il de profundis: “Berlusconi è finito e solo lui ancora non se ne rende conto”. Il 9 novembre Napolitano nomina Mario Monti senatore a vita: sette giorni dopo gli affiderà il governo. E le soddisfazioni più grandi le dà il solito Bertinotti: “Berlusconi è una storia finita, così com’è finita la Seconda Repubblica. I protagonisti del passato non torneranno” (2 marzo 2012, grazie di tutto Fausto).
Accanto a Bertinotti, nell’olimpo dei campioni di divinazione si è ritagliato un posto speciale Pierluigi Bersani: “Non è finito solo un periodo, è finito un modo di vivere, è finita l’epoca del ‘ghe pensi mi”’, assicurava l’allora segretario del Pd il 25 marzo 2011, due mesi prima che il presidente del Consiglio uscisse con le ossa rotte dalle amministrative del 15 e 16 maggio – l’ho sempre detto che Berlusconi è al tramonto, ma non abbiamo il cronometro”. Il problema è che lo avrebbe detto anche l’8 novembre 2011 (“Nella coscienza del Paese l’era di Berlusconi è finita da tempo. Non so nella sua coscienza”) e pure il 19 novembre 2012 durante la corsa per le primarie dem: “Già tre anni fa Berlusconi era finito. Era finito agli occhi dell’italiani, del mondo e pure del Pdl, solo che non sapevano come mandarlo via”.
Chi si era tenuto saggiamente lontano dai fondi del caffè era stato Matteo Renzi. Ma nel 2013 ci casca anche lui: “La partita è finita. Game over“, dice l’11 settembre a Porta a Porta l’allora sindaco di Firenze mentre affila i metaforici coltelli che di lì a poco avrebbe conficcato nella schiena di Enrico Letta, sicuro che la condanna definitiva inflittagli il 1° agosto dalla Cassazione per frode fiscale nel caso dei diritti tv Mediaset avesse definitivamente fiaccato il Cavaliere invincibile. Errore di valutazione che lo accomuna all’arcinemico Beppe Grillo: “L’accelerazione della sentenza della Cassazione lo ha inchiodato come una farfalla al muro. Continua a sbattere le ali, ma non può più muoversi. E’ finito, e lo sa“, esultava il leader del M5s il 27 settembre sul blog. Ripetendo l’errore il 23 maggio 2014: “Mi rivolgo ai figli di Berlusconi – scandiva dal palco di piazza San Giovanni a Roma per la chiusura della campagna elettorale per le europee – andate da vostro padre con dolcezza, prendetelo per mano e ditegli: “Adesso a casa, è finita”.
Se la capacità dei politici dovesse essere davvero quella di plasmare il presente e immaginare il futuro, povero noi: vivremmo davvero in un Paese allo sbando. Per fortuna filosofi e scrittori sanno interpretare la realtà. “Prodi? Politicamente finito, come Berlusconi”, assicurava Massimo Cacciari un’intervista del 30 maggio 2007 al Corriere Veneto commentando così il trionfo del centrodestra nelle amministrative in Veneto. Per poi ritentare la fortuna nel 2013: “Non penso che Berlusconi voglia davvero ricandidarsi alle politiche; credo abbia capito che ormai la sua
stagione è finita”. E poi c’è chi, invece, impara dai propri errori: “Berlusconi è oramai finito”, rivelava Roberto Saviano in un’intervista al Financial Times il 27 novembre 2010. Visto che però non finiva, l’autore di Gomorra si correggeva il 20 gennaio 2010 a Le invasioni barbariche: “E’ un’ingenuità pensare che Berlusconi sia finito. Ci sarà un momento in cui lui tornerà“. Per poi pronunciare la parola definitiva su Twitter il 3 febbraio 2013, commentando la nuova folgorante idea dell’immarcescibile Caimano di restituire l’Imu: “Oggi Berlusconi anticipa la ‘proposta choc’. Nemmeno un anno fa appariva finito. Ora ha di nuovo possibilità di potere. Nausea infinita“. Come il Cavaliere.