Società

Saldi e shopping, ogni volta che comprate online una persona viene licenziata

Sabato è il primo giorno di shopping in Italia. Da bravo figlio del consumismo e capitalismo moderno sono andato a fare shopping. Sveglia presto, colazione, un giro in bagno. Poi divano e ho fatto shopping. Niente code alle entrate, niente stress per il parcheggio, niente fare benzina o strizzarsi nella metropolitana con chi non ha scoperto ancora cosa significa la parola sapone. Rilassato sul mio divano con la mia gatta che faceva le fusa sono entrato nel sito che vendeva le scarpe che volevo prendere. Costavano 115, scontate 103. Consegna gratuita in 5 giorni.

Se avessi dovuto optare per lo shopping dal vivo tra benzina, tempo speso, costo parcheggio (o biglietto metro), tra una cosa e l’altra avrei speso 2 ore di tempo e almeno 10-20 euro in più. Insomma tutto perfetto? Non proprio, anzi, a rischio di sembrare critico, una tragedia annunciata. Non per me bene inteso, ma per quelli che ho fatto licenziare (con la collaborazione involontaria di altri e-consumatori come me), senza volerlo, nei prossimi 6 mesi o 1 anno. Trilli – la fatina di Peter Pan – diceva che ogni volta che un bimbo dice che le fate non esistono una fatina muore.

Ogni volta che fate shopping in rete una commessa (o un commesso, siamo politically correct) muore. In vero non muore, alla peggio viene licenziato. Dato che potrei sembrare tragico diamo un occhiata ai numeri su Zerohedge (sempre illuminante per le notizie cattive) avete tanti bei grafici da fonti governative, tutti veri (fonti Usa, ma si sa quello che succede in Usa prima o poi succede anche qui).

Quindi io oggi ho comprato un paio di scarpe e zac ho fatto licenziare una commessa. Magari quella gentile signorina con cui ho parlato ieri al telefono: mi ha confermato che la taglia che mi serviva non era disponibile ma potevo trovarla on line sul sito del gruppo di cui il negozio faceva parte. Vabbè, si dirà. Dopo tutto se un paio di negozi chiudono male non fa. Ci vuole ricambio generazionale.

Il problema è che con il termine retail apocalipse in Usa non si riferiscono al pizzicagnolo in centro gestito dalla coppietta di anziani che decide di andare in pensione. Se avete dato un’occhiata al link che ho indicato si nota che il trend di chiusure riguarda tutte le realtà Bricks & mortar (modo di dire Usa che indica i negozi di mattoni e cemento).

Amazon ha ormai raggiunto quella fase di maturità commerciale per cui, dopo aver di fatto depauperato il Black day, può rimodularlo. In pratica, posso immaginare, sulla base delle pianificazioni di acquisti definiranno i giorni o le ore delle grandi offerte (una cosa che in vero già fanno, forse ora pomperanno di più sui social la cosa). Se il consumatore è contento un poco meno lo è il lavoratore consumatore. Tutti noi consumiamo perché abbiamo liquidità per farlo. No soldi no shopping.

Vi sono soluzioni per invertire questa tendenza? Dopo tutto legato al mondo del commercio al dettaglio non ci sono solo le commesse: industria edilizia, design (di interni per arredare i negozi), compagnie elettriche (luci nei negozi?), e per finire comuni che scremano una certa quantità di soldi ogni volta che un centro commerciale apre (dando lustro e soldi al comune che lo accetta sotto forma di opere pubbliche).

La triste verità è che non si può fare nulla. Certamente l’estinzione dei negozi fisici non avverrà domani. Ma a valutare i trend di disoccupazione e crescita on line non c’è da stare tranquilli, il retail apocalipse colpirà nella nostra generazione. Ovviamente i positivisti diranno che “be’ puoi sempre riqualificarti, fai un corso e poi vai a lavorare da xxx” verissimo. In teoria. Ma il numero di posti nell’industria dei servizi (ristorazione tanto per fare un esempio) non sono infiniti, e con la contrazione della liquidità in mano ai consumatori (che magari erano anche commessi nei negozi chiusi) non tutti si affanneranno a mangiare fuori tutte le sere. Ricordate quindi, quando comprate on line una commessa viene licenziata.