La migliore chiave di lettura del notiziario giornaliero di sventure climatiche, litigi politici e crisi finanziarie è la mancanza di global governance del villaggio globale, un fiasco clamoroso e totale che ci portiamo dietro da decenni. E forse mai come oggi la sconfitta degli eserciti della globalizzazione è così lampante, bastano pochi esempi per poter confermare questo triste bilancio: Trump rinnega i patti di Parigi e sostiene che ci vuole un altro modello per combattere i cambiamenti climatici; il Regno Unito lascia l’Unione Europea; l’ennesimo attacco dei misteriosi ricattatori hacker colpisce le vecchie centrali nucleari di Černobyl’ e ancora una volta il dito viene puntato contro Microsoft – società non pubblica ma privata – che dovrebbe proteggerci da questi reati; Google deve pagare una salatissima multa in Europa per aver infranto le regole della buona concorrenza.
Il lettore si domanderà: ma cosa c’entra Google con gli squilibri mondiali del villaggio globale? Molto, moltissimo dal momento che il suo comportamento commerciale sul mercato americano non viene considerato illegale mentre su quello europeo sì. In altre parole, sulle due sponde dell’Atlantico esistono due visioni distinte della concorrenza sleale. Ecco un esempio preoccupante dell’assenza di una legislazione universale in un settore, l’internet, non solo nato lo stesso giorno della globalizzazione, ma che che insieme alla sorella sta ridisegnando il nostro mondo.
Vale la pena di analizzare i motivi di queste differenze. Negli Stati Uniti l’antitrust non si preoccupa tanto delle piccole e medie aziende che chiedono aiuto per combattere i concorrenti dominanti ma dei bisogni e delle esigenze dei consumatori. Se un’impresa offre un servizio o un prodotto che aiuta i consumatori, non importa quanto sleale sia nei confronti dei propri concorrenti, per l’antitrust va bene così. E questo spiega perché l’ultima volta che il dipartimento di giustizia è andato in tribunale per rompere un monopolio che schiacciava un concorrente è stato nel processo intentato dal governo americano contro Microsoft.
Si potrebbe concludere che in America il bullismo commerciale va bene se produce vantaggi per il consumatore. Ma è proprio vero che sia così? Come può una concorrenza sleale essere vantaggiosa per il consumatore? In Europa i funzionari antitrust hanno una diversa mentalità. In un continente dove la protezione delle aziende e delle industrie nazionali ha sempre avuto grande importanza, non bisogna sorprendersi se lo stesso atteggiamento vale per l’antitrust. A differenza degli Stati Uniti, infatti, gli europei vigilano sulla salute dei concorrenti minori. E infatti Google non è l’unica impresa che è rimasta intrappolata nella rete dell’antitrust dell’Unione Europea, la Commissione ha di recente indagato sui contratti di Amazon con gli editori per gli e-book e Amazon ha dovuto piegarsi alle sue conclusioni e cambiarli.
Le divergenze di vedute tra americani ed europei sono importanti per molti motivi ma anche perché il danno causato dalla concorrenza sleale è spesso permanente: le imprese che sono state escluse dal mercato cibernetico dai giganti Google, Amazon o Facebook certamente non riemergono, anche quando ricevono una vittoria legale; né tale vittoria produce grandi cambiamenti sul funzionamento del mercato. Sia ben chiaro che per Google pagare 2,7 miliardi di dollari non è una bazzecola, ma sicuramente non cambierà la sua posizione di dominio che l’impresa si è conquistata nel mercato, né altererà la sua filosofia commerciale. Chi gestisce questo gigante sarà semplicemente più attento in Europa, ma continuerà a comportarsi da monopolista nel resto del mondo.
Dietro queste divergenze di visioni c’è’ una realtà nuova e preoccupante relativa a un servizio, quello offerto dall’internet, che è nato globalizzato ma non è mai stato regolato a livello globale. Una realtà che rischia di minare i principi del libero mercato. La condanna dell’antitrust europeo poggia su un’indagine che ha controllato 1,7 miliardi di ricerche su Google, un volume enorme di dati! I risultati hanno mostrato che a livello locale i sistemi pubblicitari hanno già optato per Google, in altre parole i concorrenti sono già fuori gioco e non torneranno a esistere. Ciò è vero per tutti i giganti della rete Facebook e Amazon, ad esempio, la concorrenza non esiste più e date le loro dimensioni non si materializzerà certo adesso. Ciò che sta succedendo è che la lotta per il controllo del mercato è combattuta da loro, una lotta tra monopolisti combattuta con le armi della concorrenza sleale.
I primi sentori già sono visibili. Da quando Facebook non è riuscito ad acquistare Snapchat, ha lanciato una serie di iniziative per strappargli fette del mercato della augmented reality, che viene tradotta come realtà aumentata, imbellita oppure mediata dall’elaboratore.
Si tratta di una tecnologia che permette di sovrapporre a immagini reali quelle immaginarie, una sorta di gioco tra realtà e fantasia. Il sistema più popolare è quello dei filtri fotografici di Snapchat che permettono di inserire effetti speciali nei video e nelle foto che saranno poi inviati attraverso Snapchat.
Il mercato della augmented reality è vasto. Secondo alcune proiezioni nel 2019 negli Stati Uniti il numero di persone che faranno regolare uso dell’augmented reality arriverà a 54,4 milioni, circa uno ogni cinque persone con accesso all’internet (al momento sono 44 milioni). Facile capire perché Facebook, che possiede miliardi di utenti che si scambiano di tutto giornalmente sulle piattaforme Facebook, sia così interessato a questo settore. Zuckerberg sa bene che se offre gli stessi servizi della Apple, di Google o di Snapchat, questo gregge fedele abbandonerà i suoi concorrenti. Il suo sogno è di far indossare in futuro agli utenti un paio di occhiali per vedere il mondo a modo loro, o meglio, per vederlo come il pastore Zuckerberg vuole che esso sia. Che poi è lo stesso sogno della Apple, di Google o di Snapchat
Morale: la concorrenza sleale a lungo andare crea monopoli e i monopoli sono per definizione pericolosi perché sono dittature commerciali e come tutte le dittature non promuovono gli interessi dei consumatori ma dei monopolisti. Una legislazione antitrust globale serve proprio per evitare che il sistema degeneri e per proteggere gli interessi dei consumatori non solo oggi ma anche domani. E serve prima che sia troppo tardi per ripristinare un sano libero mercato.