Confindustria è contraria all’estensione della normativa sul sequestro dei beni anche a chi è accusato di corruzione. La conferma inequivocabile arriva direttamente da Vincenzo Boccia, presidente di viale dell’Astronomia, che in una lunga intervista al Mattino definisce come un “cortocircuito le modifiche al codice Antimafia attualmente in discussione al Senato. “I cortocircuiti sono tanto le norme sulle misure di prevenzione applicate ai reati di corruzione di cui si discute in questi giorni, quanto un certo orientamento, ormai invalso, per cui il diritto penale non si applica più con le garanzie del processo, ma nella fase cautelare, in cui queste garanzie sono molto attenuate. Da qui il passo all’estensione di una legislazione eccezionale come quella sulle misure di prevenzione è breve: se la risposta che il legislatore offre ai fenomeni è sempre più anticipata, queste misure la anticipano a un punto tale che nemmeno le garanzie minime del cautelare sono più richieste” , dice il presidente degli industriali riferendosi al disegno di legge sostenuto da magistrati, associazioni antimafia come Libera ma anche la Cgil Legambiente.   

La novità principale contenuta nel nuovo Codice Antimafia, infatti, è l’estensione delle misure di prevenzione, già previste per i mafiosi, anche alle persone accusate di una serie di reati contro la pubblica amministrazione. Nel dettaglio sono il peculato, la malversazione, l’induzione indebita a dare o promettere utilità, la concussione, la corruzione per esercizio della funzione, per atti contrari ai doveri d’ufficio e in atti giudiziari, l’istigazione alla corruzione: tutte condotte che – se commesse con vincolo associativo – portano al sequestro preventivo dei beni degli indiziati di reato. “Ma i procedimenti indiziari non possono essere la regola anche per i fenomeni di corruzione“, attacca Boccia che ci tiene a sottolineare come i reati contro la pubblica amministrazione siano comunque “fenomeni che vanno prevenuti e contrastati“.

Per il presidente degli industriali, però, la lotta alla corruzione non deve passare anche dal sequestro di beni ma basta la “la consapevolezza che la vera prevenzione e il vero contrasto vengono da buone regole, dall’importante lavoro di istituzioni come l’Anac, che in questo senso è stata e continua a essere preziosa, e dall’effettività della sanzione applicata a conclusione di un giusto processo“. Ed è per questo motivo che Boccia attacca il governo. “Siamo sicuri che vi sia un’idea coerente dietro a riforme come quella della Pa, del codice penale e di quello antimafia ora in discussione?”, si chiede il presidente di Confindustria nel dialogo col quotidiano campano. “Non è una domanda fine a se stessa – dice Boccia – perché è chiaro che se l’idea manca siamo sempre pronti a disfare la tela e a scrivere nuove norme o riscrivere quelle appena fatte, magari nell’ansia di ‘accontentare’ chi urla di più“. In pratica un attacco in piena regola all’esecutivo, che per Boccia vuole “assecondare istanze emotive se non calcoli puramente elettoralistici“.

E dire che in realtà le ultime modifiche al codice Antimafia non piacciono neanche l’opposizione.  “Il Codice antimafia è scritto male, uno scandalo. Non va approvato ma va combattuto in tutti i modi. Noi  stiamo facendo la nostra parte per bloccarlo in commissione in Parlamento”, ha detto il deputato del M5sRoberto Fico. La settimana scorsa, infatti, i 5 Stelle avevano votato contro l’emendamento presentato dal Pd a Palazzo Madama che cambiava una parte fondamentale del nuovo codice. Nella versione licenziata dalla Camera e approdata al Senato – dove è rimasto dimenticato in commissione tra il novembre 2015 l’aprile 2017 –  l’estensione del sequestro dei beni, era prevista già per chi fosse indiziato dei reati che vanno dal peculato alla corruzione.

La scorsa settimana, quindi, un emendamento del Pd aveva cambiato quella parte del nuovo Codice subordinando l’applicazione delle misure di prevenzione ai delitti contro la pubblica amministrazione solo se questi ultimi sono commessi in forma associativa. In pratica si possono sequestrare i beni solo a chi viene accusato di truffa aggravata ai danni dello Stato o di associazione a delinquere finalizzata alla commissione di delitti che vanno appunto dal peculato alla corruzione. Una modifica che ovviamente restringe la possibilità di utilizzare le misure di prevenzione, originariamente prevista per tutti gli indiziati di reati contro la pubblica amministrazione. Quell’emendamento, però, oggi divide magistrati e giuristi. La settimana scorsa i senatori del Pd si erano fatti scudo del parere del procuratore nazionale Antimafia, Franco Roberti, che in effetti ha promosso dal punta di vista tecnico l’inserimento del vincolo associativo. Al contrario, invece, il pm della Dna, Maurizio De Lucia,  boccia proprio l’emendamento del Pd.  “Basta non esser associati ad altri per non essere pericolosi? È possibile applicare una misura di prevenzione a un soggetto che, seppure associato ad altri, prende una mazzetta per la prima volta?”, si chiede in un’intervista al Corriere della Sera il neo procuratore di Messina. Che poi ipotizza come il nuovo codice possa andare ad incidere “una giurisprudenza ampiamente avanzata, testata e sperimentata sotto il profilo della compatibilità costituzionale e rispetto agli obblighi imposti dalle corti internazionali“. Insomma sembra proprio che il nuovo codice Antimafia non piaccia a nessuno. Agli industriali perché punta a togliere i beni ai corrotti, ai magistrati perché colpisce solo quelli che delinquono in forma associativa, alle opposizioni perché lo considerano “scritto male e dannoso”. Non esattamente un successo.

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