Non solo la corruzione sui farmaci per il dolore. Guido Fanelli, il medico dirigente della seconda Rianimazione dell’azienda ospedaliero-universitaria di Parma coinvolto nell’inchiesta Pasimafi, è stato condannato dalla Corte dei Conti dell’Emilia-Romagna a pagare 259.926 euro all’ateneo come risarcimento per aver svolto un’indebita attività libero-professionale incompatibile con le sue funzioni istituzionali.
Considerato un luminare delle cure palliative, Fanelli, 62 anni, è finito ai domiciliari a inizio maggio con l’accusa della Procura ordinaria di essere la mente di un’organizzazione che agevolava le aziende del farmaco nella sperimentazione illegale emersa dalle indagini, che hanno portato a 19 arresti tra medici e imprenditori farmaceutici. Al medico, nel frattempo sospeso dall’ateneo, i magistrati contabili contestavano invece per altre vicende compensi indebitamente percepiti per oltre 650mila euro tra il 2007 e il 2012. Somma ridotta dai giudici a quasi 260mila per la prescrizione.
Gli accertamenti della Guardia di Finanza avevano individuato vari incarichi, di consulenza scientifica e di prestazione d’opera intellettuale, legati alla partecipazione a congressi, seminari, convegni, corsi, incontri scientifici e alla realizzazione di materiale per corsi di formazione e cessioni di diritti d’autore. La Procura aveva quindi chiesto il risarcimento, segnalando la responsabilità amministrativa e i giudici hanno osservato che non si trattava di attività sporadiche, saltuarie o occasionali, ma erano “connotate da inequivoci profili di continuità e sistematicità, poste in essere dal professor Fanelli nel corso degli anni (2007 – 2012) in virtù di molteplici incarichi, che in vari casi gli sono stati conferiti da un’unica e medesima società”.
Attività tutt’altro che marginali rispetto alle funzioni istituzionali del professore universitario, per l’elevato ammontare dei compensi percepiti e fatturati annualmente con partita Iva aperta nel 1994, quando invece era assoggettato a un regime di incompatibilità assoluta per lo status di professore universitario a tempo pieno, senza alcuna possibilità di autorizzazione delle prestazioni stesse da parte dell’ateneo. La responsabilità erariale dunque riguarda l’omesso versamento all’amministrazione di appartenenza, l’università di Parma, dei compensi indebitamente percepiti.