Oltre 2 milioni di contenuti potenzialmente discriminatori postati e diffusi sul web. Sono questi i numeri dell’odio e dell’intolleranza in Rete che ogni anno vengono rilevati dall’Unar, l’Ufficio nazionale antidiscriminazioni razziali. Solo nel 2016, l’ufficio del Dipartimento Pari Opportunità della Presidenza del consiglio dei ministri ha aperto 2.939 istruttorie, di cui 2.652 sono risultate pertinenti, ovvero con contenuti discriminatori. Come si legge sul sito ben il 69 per cento dei casi “riguarda fatti discriminatori per motivi etnico-razziali“. Di questi, il 17% coinvolge la comunità rom, sinti e caminanti, mentre il 9% delle discriminazioni è per motivi religiosi o per convinzioni personali.
Un altro dato allarmante riguarda il 16% dei casi in riferimento a comportamenti discriminatori legati alla disabilità. Si attestano invece al 9% i discorsi d’odio basati sull’orientamento sessuale e sull’identità di genere. Uno spaccato sullo stato di salute delle abitudini degli utenti poco rassicurante. “Oltre a fornire un quadro imprescindibile di comprensione e lettura del fenomeno discriminatorio – spiega Mauro Valeri, sociologo ed esperto dell’Unar sul tema del razzismo – rappresentano per l’Ufficio una sfida continua che richiede un costante approfondimento giuridico, semantico e concettuale”.
Non solo. Gli occhi sono puntati sulle testate on-line, perché come puntualizza Valeri “bisogna infatti stabilire se determinati post o commenti ad articoli di giornale possano rappresentare una discriminazione oppure rientrino nella libera manifestazione del pensiero. Visti i numeri, ritengo che sia opportuno un maggiore coordinamento tra tutti coloro che sono attivi su queste tematiche, anche per meglio coordinare una efficace strategia di prevenzione e di contrasto”.
Eppure manca ancora una definizione univoca di ‘hate speech‘ a livello nazionale ed internazionale, come sottolinea la nota Unar. “In linea generale – si legge – in considerazione della attuale normativa, l’Osservatorio valuta e seleziona stabilendo di segnalare all’autorità giudiziaria i casi che palesemente incitano alla violenza richiedendone, contestualmente, la rimozione ai social network o all’amministratore del sito che ospita il contenuto discriminatorio”.
L’Unar, attivo da alcuni anni nel contrasto alla diffusione dell’odio online, attraverso il proprio Osservatorio nazionale ha ampliato dal 2016 le attività di monitoraggio già presenti sui media tradizionali, ponendosi l’obiettivo di ricercare, monitorare ed analizzare quotidianamente i contenuti potenzialmente discriminatori provenienti dai principali social network, da articoli di giornale, blog e relativi commenti, siti di ‘fake news’