Ci sarà qualcosa di particolare in noi italiani: piangiamo ed esaltiamo sempre chi ci ha rappresentato al peggio. E forse siamo davvero così. Sordi ci dipingeva egoisti, stupidi, superficiali, bambineschi, interessati, infidi e diciamo che è stato uno dei più grandi ad averci capito. Paolo Villaggio ha fatto del puerile, inappropriato, ignorante ragionier Fantozzi un altro gigantesco affresco cinematografico dell’italiano medio, dipendente e pavido. E noi, ora che questo attore-autore non c’è più tempestiamo i nostri social di cari ricordi e di sorrisi e di Rip per qualcuno che non conoscevamo affatto, se non dalle sue pellicole.
Non voglio certo mettere in dubbio il valore professionale di Villaggio come attore-autore. E’ stato senz’altro uno dei interpreti migliori della commedia italiana che ha fatto grande il cinema tricolore, a cominciare da L’armata Brancaleone di Mario Monicelli, passando per La voce della luna di Federico Fellini. Oggi tutti piangiamo lacrime virtuali solo per Fantozzi, un personaggio che non appariva più nei nuovi film da 20 anni (ultimo, Fantozzi 2000 – La clonazione, assolutamente trascurabile).
Purtroppo non è morto il ragionier Ugo Fantozzi, ma l’uomo Paolo Villaggio e l’uomo Paolo Villaggio, come tutti gli uomini reali, aveva opinioni e idee politiche e sociali. E qui, la Rete si rivela implacabile. In queste ore infatti stanno riprendendo vita anche tutte le frasi pronunciate in vita dal simpatico creatore di Fantozzi e di Franz e di Fracchia, che tanto simpatiche però non erano. Almeno non così tanto da poterne piangere adesso che non possono essere più pronunciate e, soprattutto, pensate.
Eccone alcune che potrete rinvenire sparse online ma soprattutto condensate in molti post.
Sul razzismo:
– “La Kyenge io la chiamo negra. Altrimenti come vuoi chiamarli? Non è oltraggioso, è la solita ipocrisia. Non ha nemmeno il passaporto italiano (…) 38 fratelli? Colpa del padre e della sua attività sfrenata. Da quelle parti è l’unico divertimento, altrimenti sarebbe un pazzo, un maniaco sessuale. Per carità”.
– “La nostra cultura non ha ancora accettato una cultura inferiore come quella che viene dall’Africa (…) noi buonisti, noi europei, noi sacerdoti, noi santi: tutti abbiamo sempre finto di essere più buoni di quello che in realtà siamo (…) I rapporti con la gente di colore oggi, tranne forse con Obama, sono ancora improntati a una leggera ipocrisia”.
Sull’omosessualità:
– “E’ un’anomalia genetica che va compresa fino in fondo (…) E’ un incidente, se si ha veramente amore per il prossimo bisogna avere comprensione per una deviazione che non è desiderata”.
– “Da ragazzi – raccontando dell’amicizia con Fabrizio De Andrè ndr – tormentavamo due omosessuali, uno dichiarato e l’altro no. Li prendevamo a pietrate, solo per il gusto di farlo”.
Sui giochi paralimpici:
– “Le Paralimpiadi di Londra fanno molta tristezza, non sono entusiasmanti, sono la rappresentazione di alcune disgrazie e non si dovrebbero fare perché sembra una specie di riconoscenza o di esaltazione della disgrazia. La mia non è crudeltà, ma è crudele esaltare una finta pietà. Questo è ipocrita. Sembrano Olimpiadi organizzate da De Amicis con dei ‘personaggini‘. Non fa ridere una partita di pallacanestro di gente seduta in sedia a rotelle, io non le guardo, fa tristezza vedere gente che si trascina sulla sedia con arti artificiali. Mi sembra un po’ fastidioso, non è divertente”.
Queste frasi – sono sicuro – non verranno ricordate da nessuno dei mass media, troppo impegnati a creare miti, soprattutto dopo che sono morti. Ma anche su questo Paolo Villaggio ha l’ultima parola: “Sono inviperito per questa tendenza che esiste soprattutto in Italia, forse per le sue radici cattoliche, di riconoscere i meriti degli artisti solo dopo la morte. Come se la morte nobilitasse.”
Appunto.
Piangete pure l’artista, ma l’uomo lasciatelo piangere alla famiglia.