“Punto d’incontro tra sofferenza, impegno professionale e umanità. Crocevia collocato al limite di obiettivi che sembrano impossibili, ma possono essere raggiunti e superati, perché qui l’assistenza si incrocia con la ricerca”. È passato neanche un anno e mezzo da quando il presidente della Repubblica, Mattarella, pronunciava queste parole davanti a pazienti e medici. Eppure oggi quel “crocevia” capace di superare l’impossibile rischia di chiudere. O, al limite, di trasformarsi in una delle tante strutture di lungodegenza sparse per il Paese.
Da 25 anni, la Fondazione Santa Lucia di Roma è un Istituto di ricovero e cura a carattere scientifico (Ircss): è un luogo, cioè, ad alta specialità, che unisce il percorso della guarigione a quello della ricerca. Si occupa di lesioni spinali, post-coma, ictus, malattie degenerative come la sclerosi multipla, cerebro-lesioni infantili. È il punto di riferimento per i personaggi della televisione o del cinema (il giornalista Lamberto Sposini è stato ricoverato a lungo, ma non è l’ultimo in ordine di tempo), ma è soprattutto il punto di riferimento per i cittadini “normali” che, quando portano qui parenti o amici, nutrono ancora la speranza di un miglioramento.
Per essere un Ircss, il Santa Lucia – come tutti gli altri: 49 in totale nel 2016, 21 di diritto pubblico e 28 di diritto privato – risponde a regole molto rigide: dal numero di metri quadri delle stanze di degenza per singolo letto (in tutto 325) a quello delle palestre, dalle tecnologie al personale specializzato: oltre 800 lavoratori, tra medici, infermieri, psicologi, terapisti, ricercatori e personale amministrativo.
Ogni anno, duemila pazienti da tutta Italia si rivolgono all’istituto di via Ardeatina. E lo fanno perché il Santa Lucia è accreditato presso il Servizio sanitario nazionale. Significa che non bisogna essere ricchi per poter essere curati in una struttura di eccellenza. Sempre che la stessa rimanga tale. La Regione Lazio, la cui sanità è in carico al governatore e commissario ad acta, Nicola Zingaretti, non vuole riconoscere alla Fondazione l’entità dei rimborsi previsti per il cosiddetto codice 75, cioè l’alta riabilitazione intensiva in regime di ricovero.
Nel 2013 l’economista Giuseppe Ciccarone, su incarico del Tar del Lazio, determinò le tariffe della neuroriabilitazione ad alta specialità effettuata dal Santa Lucia (nel 2007, ben sei anni prima): 513 euro a paziente per ogni giorno di degenza. La Regione fu dunque costretta a pagare. Successivamente, però, di propria iniziativa, la giunta di Zingaretti ha introdotto criteri restrittivi per l’accesso ai percorsi del Codice 75, estromettendone – di fatto – una serie di pazienti molto gravi e limitandosi a rimborsare la quasi totalità dei ricoveri effettuati dalla fondazione negli ultimi dieci anni secondo la tariffa del Codice 56 (la riabilitazione ordinaria): 272,70 euro al giorno.
Praticamente la metà di quanto riconosciuto dal commissario nominato dal Tar, dal Consiglio di Stato e da un altro commissario ad acta nel 2016. Metà che il Santa Lucia rivendica ora come un credito da 100 milioni di euro. Cifra che metterebbe in ginocchio molte grandi aziende. Ma non basta.
Nel decreto 377 del 2016 del commissario Zingaretti, la Regione Lazio propone di organizzare l’istituto – per il biennio 2017-2018 – con soltanto 116 posti letto per neuroriabilitazione ad alta specialità (per 470 euro al giorno), 42 per mielolesi (sempre 470 euro), 138 posti letto ordinari e 24 in day hospital per riabilitazione ordinaria (272,20 e 218,16 euro al giorno). Praticamente si chiede alla Fondazione di dimezzare lo spazio per i pazienti trattati finora e di accogliere anche coloro che troverebbero cure adeguate in altre strutture. Praticamente un declassamento. Che si spiega, nell’ottica della Regione, soltanto col tentativo di ridurre i rimborsi. Il fabbisogno del Santa Lucia è di 65 milioni di euro, il budget annuale assegnato da Zingaretti è di 44 milioni e 318 mila euro.
La direzione dell’Ircss ha provato ad avanzare una controproposta (una quota annuale integrativa di 5,8 milioni di euro sotto la voce “finanziamento delle funzioni”), ma qualsiasi tentativo di mediazione – anche sotto la supervisione del ministro della Salute – fin qui ha dato esito negativo.
Tagliare le risorse al Santa Lucia significa destinarlo alla chiusura. Declassarlo significa equipararlo alle tante altre strutture private – e convenzionate – di riabilitazione ordinaria che nel Lazio hanno quasi un unico proprietario. Un istituto di eccellenza divenuto “normale” e costretto a chiudere farebbe gola a molti. Come sempre accade, a rimetterci sarebbero soltanto i pazienti.