"Hanno ripulito la società del servizio idrico per venderla dopo aver gettato al vento milioni. Le amministrazioni Pd gestivano le partecipate come bancomat". Secondo il sindaco Filippo Nogarin e il liquidatore il passivo da oltre 45 milioni dell'Asa, passata a Iren nel 2004, è passato a Liri, che è pubblica. Risultato: i livornesi negli ultimi 14 anni hanno pagato 14 milioni più 28 di interessi. E di qui al 2023 dovranno sborsarne quasi altrettanti, con un esborso di 10 centesimi al giorno a cittadino
Debiti, partecipate mal gestite, addirittura un derivato “tossico”. E le perdite ripianate con i soldi di tutti, neonati compresi. Non solo Aamps, l’azienda di rifiuti di Livorno, era malata. Secondo il sindaco Filippo Nogarin lo stesso virus riguarda anche la gestione passata di Asa e Liri, società che gestivano il servizio idrico e le reti di acqua e gas. “Milioni di euro di soldi pubblici gettati al vento, una privatizzazione sulla pelle dei livornesi – dice ora il sindaco Nogarin – Una grande abbuffata: è una Aamps due. Con la differenza che noi siamo arrivati troppo tardi per riprendere in mano la situazione in tempo”. Secondo la giunta M5s è successo questo: nel 2004, prima che l’azienda dell’acqua – l’Asa – fosse privatizzata ha scaricato debiti per 45 milioni di euro (contratti tra il 1996 al 2003) sulla Liri, altra partecipata del Comune, al cento per cento.
Quest’ultima è diventata così una specie di bad company, secondo la ricostruzione degli amministratori Cinquestelle, che ha dovuto accendere un altro finanziamento per saldare i debiti. Risultato, detto per riassunto? Ciascun livornese continuerà a pagare 10 centesimi al giorno per i prossimi 7 anni. “Negli anni passati le amministrazioni, pur di mantenere i conti del Comune in regola, non hanno esitato a utilizzare le municipalizzate come bancomat, spolpandole, riducendole sul lastrico, utilizzandole come strumenti di consenso e infine vendendole, ripulite, al miglior offerente. Noi invece stiamo provando a salvarle: con Aamps ci siamo riusciti. Ora stiamo seguendo un’altra strada per provare a limitare i danni fatti con Asa”.
Con quasi 500 dipendenti, l’Asa gestisce il servizio idrico e l’erogazione del gas metano. E’ sulla bocca dei livornesi da anni, molto più di Aamps: bilanci e conti in disordine, ripetuti momenti di crisi, sfide a braccio di ferro tra soci pubblici e privati. C’è stato un tempo, nel 2006, in cui gli amministratori finirono sotto inchiesta per alcuni viaggi a Cuba e Santo Domingo. “Progetto di cooperazione” era la motivazione ufficiale. Parte di quella cooperazione fu raccontata anni prima dal Tirreno: nel 1998 nelle dieci farmacie pubbliche gestite dall’Asa (sì, gestiva anche le farmacie) si vendevano prodotti cosmetici realizzati con i fanghi termali di Cuba, secondo la leggenda. Era la realidad de una leyenda, la realtà di una leggenda, si spiegò all’epoca a mo’ di slogan. In altri casi gli investimenti sembravano più seri: nel 2001 l’azienda livornese decise di guidare la bonifica e il dragaggio della baia di Santo Domingo. Alla fine, anni dopo, i pm non furono convinti che tutti quei viaggi ai Caraibi fossero “cooperazione” e indagarono. A livello penale finì nel nulla, ma l’azienda più tardi chiese i danni a tutti per la gestione di quegli anni.
Fine capitolo, capitolo nuovo: nell’autunno 2011 passano gli ispettori del ministero e qualche mese più tardi la pagella è da dimenticare. “Disallineamento delle partite di credito e di debito“, scrissero. Cioè nel bilancio di Asa c’erano entrate che in quello del Comune non c’erano alla voce uscite. Il motivo? Negli anni precedenti – tra la fine dei Novanta e l’inizio dei Duemila – l’azienda fu usata per i settori più diversi, altro che acqua e gas. Sponsorizzò la festa dell’ultimo dell’anno, ma anche Effetto Venezia (la principale festa dell’estate), sistema strade, aggiusta semafori, lampioni. Asa paga, il Comune no. Da gallina d’oro – scrisse il Tirreno tempo fa – l’Asa diventa stampella del Comune. Obiettivo: aggirare i primi patti di stabilità. In particolare successe tra il 1995 e il 1997, secondo Nogarin, quando la giunta era guidata dai Ds. “Per svolgere questi servizi – dice Nogarin – Asa ha creato una galassia di 20 società controllate, con conseguente moltiplicazione di costi, incarichi dirigenziali e spese per il personale. Tutti profili pagati, mediamente, il 30 per cento in più di quanto vengono pagati i pari ruolo in Comune”.
Così nel 2003 mentre si prepara ad accogliere soci privati l’Asa è a rischio default. Ha oltre 50 milioni di euro di debiti, di cui 48 milioni nei confronti di fornitori, banche e Comune stesso perché nel frattempo l’azienda non aveva pagato nemmeno i canoni per le reti pubbliche di acqua e gas. Per questo i debiti di Asa diventarono debiti di Liri, che invece è al cento per cento del Comune di Livorno, possiede le reti del servizio di acqua e gas (come dice la legge) e si trova in fase di liquidazione da tre anni. “Il socio privato si trova per le mani un’azienda snella, senza più un patrimonio immobiliare da gestire e soprattutto senza debiti” spiega Nogarin. E’ qui che le strade di Asa e Aamps – le croci dell’amministrazione di Livorno – si incrociano: “Il Comune – racconta il sindaco – investe 5 milioni arrivati da Asa per ricapitalizzare l’Aamps e decide di destinare il resto all’acquisto del 40 per cento delle quote pubbliche, finite in mano agli altri Comuni della zona. Ma questi ultimi si rifiutano, visto che il Comune di Livorno valuta le loro azioni 8,1 euro, quasi 2 euro in meno rispetto a quanto aveva venduto”. Alla fine il privato arrivò (per 9 milioni di euro) e Asa è cambiata, così com’è ora: il 60 per cento è in mano ai Comuni livornesi e ad alcuni pisani e senesi, il restante 40 per cento è privato, di Ireti, società per azione del gruppo Iren.
Dopo un’istruttoria lunga oltre metà mandato, a Nogarin – che porta ancora la cicatrice della vicenda Aamps – prudono le mani. “Avevamo promesso che avremmo aperto i cassetti e tirato fuori le peggiori magagne. Ci siamo imbattuti in una storia che racconta come siano state gestite le società partecipate in questa città per anni”. In soldoni – e non c’è termine più adatto – per questa storia negli ultimi 14 anni i livornesi hanno pagato 14 milioni di euro più 28 di interessi. Da ora al 2023 ne dovranno pagare altri 31 più 10 di interessi. Il calcolo finale è di 10 centesimi a testa al giorno. Neonati compresi.
Non sono debiti “normali”. “Sono quasi raddoppiati a causa di un derivato tossico occulto” racconta il sindaco con al fianco il liquidatore Maurizio Paponi. Anche quello, il derivato tossico, lo pagano i cittadini. Asa infatti aveva aperto un “finanziamento-ponte“, a inizio 2003, da circa 49 milioni di euro con Dexia Crediop. Si impegna a coprirlo con obbligazioni che però non ha mai emesso. Pochi mesi dopo il Comune vara la Liri (significa Livorno Reti e impianti) e qui dentro finiscono il patrimonio di Asa, reti di gas e acqua, impianti, macchinari. E anche il prestito-ponte. Per Nogarin è diventata “la bad company caricata di debiti da lasciare in eredità ai livornesi”. Il 30 dicembre, un giorno prima della scadenza, Liri rimborsa il finanziamento accendendone un altro da 45,5 milioni di euro rimborsabile in 25 anni. E qui dentro spunta il derivato tossico capace interessi pesanti. A fine 2009 già la giunta del Pd aveva provato la “ricontrattazione del finanziamento”, ma il derivato è rimasto lì. Ora il liquidatore si è rivolto al tribunale di Roma per chiedere l’annullamento. I livornesi pregano per uno sconto.