Dopo il caso di Totò Riina, la Suprema corte torna ad esprimersi su un ricorso depositato da un padrino di Cosa nostra contro il rinnovo del regime di carcere duro. Questa volta l'istanza appartiene a Giuseppe Farinella, condannato all’ergastolo in via definitiva nel 2008 per concorso nelle stragi di Capaci e via D’Amelio
Per prorogare il regime di 41 bis a un mafioso stragista bisogna valutare le sue condizioni di salute, l’attuale pericolosità sociale e accertare che il carcere duro non violi il divieto di trattamento inumano e degradante. Dopo il caso di Totò Riina, la Cassazione torna ad esprimersi su un ricorso depositato da un padrino di Cosa nostra contro il rinnovo del regime di carcere duro. Questa volta l’istanza appartiene a Giuseppe Farinella, condannato all’ergastolo in via definitiva nel 2008 per concorso nelle stragi di Capaci e via D’Amelio in quanto capo del mandamento di cosa nostra di San Mauro Castelverde.
Accogliendo il ricorso, dunque, la Suprema corte mette nero su bianco nelle motivazioni che prima di prorogare il 41 bis bisogna valutare la “possibile incidenza delle condizioni di salute (unite all’età particolarmente avanzata)”, il “divieto di trattamento inumano e degradante”, e “l’attuale pericolosità” del detenuto, cui il regime carcerario differenziato vieta contatti con l’esterno. Alla luce di questo principio, valido per tutti, il tribunale di sorveglianza di Roma dovrà pronunciarsi nuovamente, dopo aver respinto il ricorso di Farinella. I giudici romani avevano scritto che pur in presenza di condizioni di salute indubbiamente gravi, le patologie “non incidono sullo stato mentale e sulle capacità cognitive del soggetto recluso” e quindi sulla sua possibilità di comunicazioni con l’esterno.
Nell’accogliere il ricorso dell’ergastolano, invece, la Cassazione sottolinea il principio, previsto in Costituzione e dalle convenzioni internazionali, per cui vige il divieto di infliggere al condannato trattamenti contrari al senso di umanità. Una situazione “patologica obiettivamente grave che, unità all’età avanzata, determini un concreto rischio di trattamento inumano o degradante” è tema “rilevante” ai fini della conferma o meno del 41 bis, si legge nella sentenza numero 32405. E se la proroga comporta un “aggravamento delle condizioni di vita del soggetto”, anche solo in termini di “concausa” è “necessaria la rimozione del regime differenziato“.
In secondo luogo, spiegano i giudici, non è possibile affermare, per giustificare la necessità della conferma del carcere duro, che il pericolo di comunicazione con l’esterno venga a mancare solo in presenza di “patologia psichica totalmente invalidante”. Va invece considerata “l’incidenza dello stato patologico, eventualmente insorto”. Come nel caso di Farinella, spiega il collegio, “caratterizzato peraltro dalla esistenza di un fattore obiettivo di aggravamento della condizione fisica correlata all’età”. Nessuna apertura dunque alla liberazione del boss ma solo l’ipotesi di cancellazione del regime di 41 bis