Un emendamento di una riga, votato in pochi minuti dall’aula del Senato cancella con un rapido tratto di penna cinque delle sette sedi dell’Agenzia nazionale per i beni confiscati. C’è anche questo all’interno del nuovo Codice Antimafia, approvato tra le polemiche – politiche e giudiziarie – dall’aula di Palazzo Madama. Il provvedimento per la verità sembra nascere già morto: con un destino, cioè, che rischia già di essere segnato. Per fare diventare legge il nuovo Codice, infatti, occorrerebbe una nuova approvazione da parte della Camera prima della fine della Legislatura. Esponenti di spicco della maggioranza – come il  presidente del PdMatteo Orfini – annunciano, però, la volontà di cambiare ancora una volta il testo a Montecitorio: a quel punto sarà molto difficile che possa esserci il tempo di una quarta lettura al Senato.

In ogni caso per il momento all’interno del contestatissimo nuovo provvedimento che doveva rilanciare la lotta alle associazioni criminali è stata approvata una maxi sforbiciata alle sedi dell’Agenzia, creata per gestire i beni sequestrati e confiscati alle mafie. Il taglio è contenuto nell’emendamento 27.101 presentato dai due senatori di Forza Italia, Giacomo Caliendo e Nitto Palma, che modifica l’articolo 110 del Codice Antimafia.

Aziende sequestrate

Attualmente, infatti, l’Agenzia ha sede principale a Reggio Calabria, mentre quelle secondarie sono a Roma, Palermo, Milano e Napoli. Il governo avrebbe voluto portare la sede principale a Roma, aggiungendo tra le secondarie anche Catania e Bologna. Ed è proprio su questo declassamento di Reggio Calabria che è andato in scena un botta e risposta tra i senatori calabresi Giovanni Bilardi e Nico D’Ascola. Il primo aveva presentato un emendamento che lasciava la sede principale a Reggio Calabria, aggiungendo però tra le secondarie Catania e Bologna, oltre a quelle già esistenti di Napoli, Milano e Palermo. “È inutile ribadire che, ove non fosse così, oggi si starebbe perpetrando l’ennesima beffa, senza alcuna motivazione credibile, ai danni della città di Reggio Calabria. Perché spostare, a distanza di qualche anno, un simbolo dello Stato dalla sua ubicazione in una città ad alta densità delinquenziale? Quali sono le motivazioni?”, aveva detto il senatore calabrese, poco prima che il suo emendamento venisse bocciato.

L’alfaniano D’Ascola, invece, dopo la votazione festeggia l’approvazione dell’emendamento di Forza Italia, che ha assorbito quello del senatore Gabriele Albertini. “Nel corso dell’iter in commissione sono state implementate le dotazioni organiche in capo all’Agenzia sia dal punto di vista del personale assegnato sia da quello delle risorse disponibili. L’emendamento 27.102, con parere favorevole di relatori e governo, sulla base di un identico emendamento di Forza Italia, presentato per l’esame dell’Aula a firma del senatore Albertini e approvato muove dalla necessità di ripristinare Reggio come unica sede secondaria“, dice il parlamentare di Alternativa Popolare. Tacendo però su un particolare: è vero che l’emendamento di Caliendo e Palma mantiene Reggio come unica sede secondaria dell’Agenzia, ma solo perché cancella le altre cinque sedi previste.

Immobili sequestrati

“Al comma 1, capoverso Art. 110, al comma 1, sostituire le parole ‘ha la sede principale in Roma, le sedi secondarie in Reggio Calabria, Palermo, Catania, Napoli, Bologna e Milano’ con le seguenti: ‘ha sede principale in Roma, la sede secondaria in Reggio Calabria“, è il testo del provvedimento approvato da Palazzo Madama il 29 giugno. “A nostro avviso  l’idea dei relatori e del Governo di voler fare più sedi dell’Agenzia nazionale poteva anche essere un’ipotesi da prendere in considerazione benché, sotto il profilo della funzionalità, la riduzione a una sede principale con un’altra secondaria al massimo rende la possibilità di gestione dei compiti dell’Agenzia molto più rispondente alle finalità della legge istitutiva. Il numero delle sedi deve necessariamente essere ridotto, perché la frammentazione dei comportamenti degli appartenenti all’Agenzia a seconda delle sedi non è tale da determinare quella unitarietà di intenti che avevamo in mente”, sosteneva Caliendo, motivando il suo emendamento con la necessità di raddoppiare i dipendenti dall’Agenzia (da 100 a 200) ma solo in due sedi.

E anche se il nuovo Codice non è ancora legge ma ha già fatto sollevare proteste in ordine sparso. “La paventata chiusura dell’ufficio palermitano dell’Agenzia nazionale per i beni confiscati è un atto grave e inspiegabile. Ancor più grave e inspiegabile visto che si propone di creare un’unica sede per il Mezzogiorno a Reggio Calabria, con forti dubbi sulle motivazioni a base di tale scelta”, dice il sindaco di Palermo, Leoluca Orlando, mentre persino la Cgil siciliana, che era tra i sostenitori del nuovo Codice Antimafia, critica la cancellazione delle sedi dell’Agenza, definendola “un indubbio passo indietro“.  Anche perché, stando così le cose, la Sicilia e Palermo non avrebbero più una sede dell’ente che gestisce i beni confiscati alle mafie. Una modifica non da poco, visto che si tratta della Regione e della città dove sorgono la metà di tutti i beni confiscati in Italia dal 1982.

 

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