Si sono riabbracciati al terminal arrivi dell’aeroporto di Fiumicino. Jamal e la moglie Safa aspettavano l’esito positivo della domanda di ricongiungimento familiare dallo scorso ottobre. Yusra, invece, dal marito è scappata: da lui, dalla sua progressiva radicalizzazione e dalla loro vita nella periferia di Aleppo. È arrivata in Italia insieme ai suoi due figli: “Guardate bene questa foto. Guardate bene questi bambini siriani”, dice. È nelle sfumature che, spesso, si coglie la reale portata di quanto sta accadendo. L’invito ad osservare accompagnava una fotografia scattata la mattina del 4 luglio nel principale aeroporto della capitale: era lo scatto di un gruppo di bambini. Non stavano facendo nulla di particolare, sorridevano. Erano tra le 52 persone, per la stragrande maggioranza minori, arrivate attraverso un nuovo corridoio umanitario dal Libano all’Italia.
Era il 29 febbraio 2016: senza che si fosse mai visto nulla del genere in Europa, 93 persone sono riuscite ad entrare in sicurezza in Italia, a bordo di un aereo di linea, con in tasca un visto umanitario rilasciato dal governo italiano. In quell’occasione, l’allora ministro degli Affari Esteri Paolo Gentiloni aveva dichiarato che “i corridoi umanitari sono un messaggio all’Europa per ricordare che alzare muri non è la soluzione per affrontare la crisi dei migranti”. A lui, avevano poi fatto eco il Presidente della Repubblica Sergio Mattarella e Papa Francesco. Dopo 17 mesi e 14 aerei, 848 richiedenti asilo hanno potuto presentare la domanda di protezione internazionale senza prendere il mare e senza pagare la traversata in banconote, quando non con la vita.
Erri De Luca, nel suo diario a bordo della nave Prudence di Medici Senza Frontiere, diceva che, quando si tratta di vite umane, doveva scriverle in lettere. Ottocentoquarantotto persone. Ottocentoquarantotto storie. Un numero irrisorio, paragonato al volume delle persone in movimento, un numero che impallidisce al cospetto dei morti. Un numero potente, però, alla luce del suo potenziale politico. Sono atterrati con le credenziali sul passaporto, l’unico modo, al momento, che permette di evitare una condizione di illegalità che si genera con il primo passo mosso in Italia. Sono arrivati senza giocare a dadi con le onde, senza alimentare il traffico illegale di esseri umani e si sono sparpagliati sul territorio: dal Trentino alla Maddalena, passando per Roma, Milano, Torino e i piccoli centri abitati del centro Italia. Hanno ottenuto l’asilo politico, tra cinque anni otterranno la cittadinanza; alcuni, partiti in grembo, in Italia ci sono nati. Hanno imparato a cucinare la pasta e a sopportare il mese di Ramadan anche quando, risalendo verso nord, le ore di luce aumentano.
Scemato l’entusiasmo dell’arrivo, hanno fatto i conti con un immaginario altro che va a braccetto con il tortuoso percorso d’integrazione, sperimentando sulla propria pelle il sapore amaro del precipitare dalla scala sociale. Hanno pensato di proseguire verso il nord Europa, di tornare in Siria, di non avere gli strumenti, o la voglia, di reinventarsi. Le aspettative deluse (forse un po’ distorte), il lavoro assente o mal pagato, la grammatica che sfugge alla comprensione immediata: il fisiologico sviluppo di un arrivo – con fiori, applausi e telecamere – che aveva più l’aspetto di un privilegio che di un diritto.
‘Migranti con la valigia’ ha detto qualcuno. Di certo, di questi tempi, stipare i ricordi in un borsone, rappresenta un lusso. Lo sa bene Jamal che, arrivato in Italia il 3 maggio 2015, con tutto questo ha avuto il tempo di fare i conti. La sua storia, e quella della sua famiglia, sono raccontate in Portami via, un documentario che li ha accompagnati fino allo stordimento delle prime impressioni raccolte in Italia.
Poi, c’è il quotidiano con la sua altalena tra andare e restare, utile a ricordare che la costruzione dell’identità è sempre una faccenda complessa. E poi c’è il suo ristorante siriano che ha appena deciso di aprire a Torino. I corridoi umanitari, nati dalla sinergia ecumenica tra cattolici e protestanti – Sant’Egidio, Federazione Italiana delle Chiese evangeliche e Tavola Valdese – non hanno solo avuto il pregio di sublimare l’esercizio in sicurezza di un diritto, quello a migrare, ma hanno mostrato, coi fatti, che tutto questo si può fare. In tempi rapidi e con costi, interamente sostenuti dagli sponsor, di poco superiori ai due milioni di euro.
È una buona pratica, frutto della tenacia della società civile, replicabile, non solo ad opera dell’associazionismo, in tutti gli Stati dell’area Schengen. Ai sensi del Regolamento che istituisce il Codice comunitario dei visti, uno Stato membro può infatti emettere dei visti per motivi umanitari o di interesse nazionale o in virtù di obblighi internazionali. In francese si chiamano Couloirs Humanitaries, ricalcano il modello italiano e hanno permesso che oggi all’aeroporto di Parigi arrivino, a bordo di un volo Air France, 16 persone partirte da Beyrouth e dirette a Nimes e Le Mans.
L’accordo, siglato nel dicembre 2015, tra promotori, Viminale e Farnesina, ha previsto il rilascio di mille visti dal Libano: altre 150 persone sono attese nell’arco dei prossimi mesi. Poi, un successivo accordo, raggiunto lo scorso gennaio, ha aperto all’arrivo di 500 persone dall’Etiopia che, con oltre 670 mila persone, è il Paese che accoglie il maggior numero di rifugiati in Africa.
Ne sono state salvate di vite da quando, dopo il naufragio del 3 ottobre 2013 al largo delle coste di Lampedusa, queste realtà attive nell’accoglienza, hanno trovato il modo di fare la differenza. Resta sul tavolo un interrogativo: come e quando estendere anche ai cosiddetti migranti economici il diritto a muoversi e a farlo in sicurezza.
Mondo
Migranti, 848 richiedenti asilo arrivati in Italia con i corridoi umanitari
Era il 29 febbraio 2016: senza che si fosse mai visto nulla del genere in Europa, 93 persone riuscirono a entrare in sicurezza in Italia, a bordo di un aereo di linea, con un tasca un visto umanitario. Un "messaggio all’Ue per ricordare che alzare muri non è la soluzione per affrontare la crisi", diceva l’allora ministro degli Affari Esteri Paolo Gentiloni. Altre 150 persone sono attese nei prossimi mesi
Si sono riabbracciati al terminal arrivi dell’aeroporto di Fiumicino. Jamal e la moglie Safa aspettavano l’esito positivo della domanda di ricongiungimento familiare dallo scorso ottobre. Yusra, invece, dal marito è scappata: da lui, dalla sua progressiva radicalizzazione e dalla loro vita nella periferia di Aleppo. È arrivata in Italia insieme ai suoi due figli: “Guardate bene questa foto. Guardate bene questi bambini siriani”, dice. È nelle sfumature che, spesso, si coglie la reale portata di quanto sta accadendo. L’invito ad osservare accompagnava una fotografia scattata la mattina del 4 luglio nel principale aeroporto della capitale: era lo scatto di un gruppo di bambini. Non stavano facendo nulla di particolare, sorridevano. Erano tra le 52 persone, per la stragrande maggioranza minori, arrivate attraverso un nuovo corridoio umanitario dal Libano all’Italia.
Era il 29 febbraio 2016: senza che si fosse mai visto nulla del genere in Europa, 93 persone sono riuscite ad entrare in sicurezza in Italia, a bordo di un aereo di linea, con in tasca un visto umanitario rilasciato dal governo italiano. In quell’occasione, l’allora ministro degli Affari Esteri Paolo Gentiloni aveva dichiarato che “i corridoi umanitari sono un messaggio all’Europa per ricordare che alzare muri non è la soluzione per affrontare la crisi dei migranti”. A lui, avevano poi fatto eco il Presidente della Repubblica Sergio Mattarella e Papa Francesco. Dopo 17 mesi e 14 aerei, 848 richiedenti asilo hanno potuto presentare la domanda di protezione internazionale senza prendere il mare e senza pagare la traversata in banconote, quando non con la vita.
Erri De Luca, nel suo diario a bordo della nave Prudence di Medici Senza Frontiere, diceva che, quando si tratta di vite umane, doveva scriverle in lettere. Ottocentoquarantotto persone. Ottocentoquarantotto storie. Un numero irrisorio, paragonato al volume delle persone in movimento, un numero che impallidisce al cospetto dei morti. Un numero potente, però, alla luce del suo potenziale politico. Sono atterrati con le credenziali sul passaporto, l’unico modo, al momento, che permette di evitare una condizione di illegalità che si genera con il primo passo mosso in Italia. Sono arrivati senza giocare a dadi con le onde, senza alimentare il traffico illegale di esseri umani e si sono sparpagliati sul territorio: dal Trentino alla Maddalena, passando per Roma, Milano, Torino e i piccoli centri abitati del centro Italia. Hanno ottenuto l’asilo politico, tra cinque anni otterranno la cittadinanza; alcuni, partiti in grembo, in Italia ci sono nati. Hanno imparato a cucinare la pasta e a sopportare il mese di Ramadan anche quando, risalendo verso nord, le ore di luce aumentano.
Scemato l’entusiasmo dell’arrivo, hanno fatto i conti con un immaginario altro che va a braccetto con il tortuoso percorso d’integrazione, sperimentando sulla propria pelle il sapore amaro del precipitare dalla scala sociale. Hanno pensato di proseguire verso il nord Europa, di tornare in Siria, di non avere gli strumenti, o la voglia, di reinventarsi. Le aspettative deluse (forse un po’ distorte), il lavoro assente o mal pagato, la grammatica che sfugge alla comprensione immediata: il fisiologico sviluppo di un arrivo – con fiori, applausi e telecamere – che aveva più l’aspetto di un privilegio che di un diritto.
‘Migranti con la valigia’ ha detto qualcuno. Di certo, di questi tempi, stipare i ricordi in un borsone, rappresenta un lusso. Lo sa bene Jamal che, arrivato in Italia il 3 maggio 2015, con tutto questo ha avuto il tempo di fare i conti. La sua storia, e quella della sua famiglia, sono raccontate in Portami via, un documentario che li ha accompagnati fino allo stordimento delle prime impressioni raccolte in Italia.
Poi, c’è il quotidiano con la sua altalena tra andare e restare, utile a ricordare che la costruzione dell’identità è sempre una faccenda complessa. E poi c’è il suo ristorante siriano che ha appena deciso di aprire a Torino. I corridoi umanitari, nati dalla sinergia ecumenica tra cattolici e protestanti – Sant’Egidio, Federazione Italiana delle Chiese evangeliche e Tavola Valdese – non hanno solo avuto il pregio di sublimare l’esercizio in sicurezza di un diritto, quello a migrare, ma hanno mostrato, coi fatti, che tutto questo si può fare. In tempi rapidi e con costi, interamente sostenuti dagli sponsor, di poco superiori ai due milioni di euro.
È una buona pratica, frutto della tenacia della società civile, replicabile, non solo ad opera dell’associazionismo, in tutti gli Stati dell’area Schengen. Ai sensi del Regolamento che istituisce il Codice comunitario dei visti, uno Stato membro può infatti emettere dei visti per motivi umanitari o di interesse nazionale o in virtù di obblighi internazionali. In francese si chiamano Couloirs Humanitaries, ricalcano il modello italiano e hanno permesso che oggi all’aeroporto di Parigi arrivino, a bordo di un volo Air France, 16 persone partirte da Beyrouth e dirette a Nimes e Le Mans.
L’accordo, siglato nel dicembre 2015, tra promotori, Viminale e Farnesina, ha previsto il rilascio di mille visti dal Libano: altre 150 persone sono attese nell’arco dei prossimi mesi. Poi, un successivo accordo, raggiunto lo scorso gennaio, ha aperto all’arrivo di 500 persone dall’Etiopia che, con oltre 670 mila persone, è il Paese che accoglie il maggior numero di rifugiati in Africa.
Ne sono state salvate di vite da quando, dopo il naufragio del 3 ottobre 2013 al largo delle coste di Lampedusa, queste realtà attive nell’accoglienza, hanno trovato il modo di fare la differenza. Resta sul tavolo un interrogativo: come e quando estendere anche ai cosiddetti migranti economici il diritto a muoversi e a farlo in sicurezza.
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Washington, 22 dic. (Adnkronos) - Il presidente eletto Donald Trump ha suggerito che gli Stati Uniti dovrebbero prendere il controllo del Canale di Panama, definendolo come una “risorsa nazionale vitale” e chiedendo a Panama di restituire il canale se i “principi, sia morali che legali” degli Stati Uniti che consentono a Panama di gestire il canale vengono violati.
Trump ha raddoppiato la proposta, lanciata per la prima volta sui social media ieri, durante un discorso all'evento Turning Point Usa a Phoenix, sostenendo che gli Stati Uniti hanno un "interesse acquisito" nel far sì che il canale venga gestito senza che Panama addebiti "prezzi e tariffe di passaggio esorbitanti" alle navi gestite da aziende e personale militare statunitensi.
"La nostra Marina e il nostro commercio sono stati trattati in modo molto ingiusto e sconsiderato. Le tariffe applicate da Panama sono ridicole, profondamente ingiuste, soprattutto sapendo la straordinaria generosità che è stata concessa a Panama, molto scioccamente, dagli Stati Uniti", ha detto Trump. "Questa completa truffa ai danni del nostro Paese cesserà immediatamente". "Se i principi, sia morali che legali, di questo magnanimo gesto di donazione non saranno rispettati, allora chiederemo che il Canale di Panama venga restituito agli Stati Uniti", ha continuato. "Quindi, funzionari di Panama, vi prego regolarvi di conseguenza".
Roma, 22 dic. (Adnkronos) - Martina, la studentessa fiorentina di 21 anni ferita con trenta coltellate dall'ex fidanzato a Oslo, in Norvegia, "non sarebbe in pericolo di vita". Lo ha detto all'Adnkronos la Farnesina, aggiungendo che "la famiglia è arrivata a Oslo ieri e che l'ambasciata segue la situazione da venerdì con la massima attenzione, prestando assistenza alla famiglia".
Roma, 22 dic (Adnkronos) - "Maria Ruggia è morta in ospedale, esattamente nell’ospedale Ingrassia a Palermo. L’hanno lasciata su una barella del pronto soccorso dal 10 dicembre al 18 dicembre. Solo il 19 è stata trasferita a Medicina Generale, quando stava già malissimo, il 20 è deceduta”. Lo scrive sui social Davide Faraone, capogruppo di Italia viva alla Camera.
“La figlia ha fatto una denuncia: suppone che potrebbe avere contratto un’infezione in ospedale perché è stata tenuta al pronto soccorso senza somministrarle adeguata terapia antibiotica preventiva, visto che si trattava di paziente fragile, esponendola a un ambiente sanitario non idoneo per troppo tempo, se ne capirà di più con le indagini. Una cosa però è certa", prosegue.
"Una paziente, ancor di più fragile, non dovrebbe stare 10 giorni in barella al pronto soccorso prima di essere trasferito in un reparto o in una clinica. E invece Maria ha vissuto gli ultimi giorni della sua vita nelle stesse condizioni in cui sono costretti a stare i siciliani che hanno la sfortuna di finire in un pronto soccorso", dice ancora Faraone.
(Adnkronos) - "Lo abbiamo documentato con le foto, lo abbiamo testimoniato con i nostri blitz nei pronto soccorso siciliani, abbiamo chiesto interventi urgenti, ma nulla è cambiato, se non in peggio. Per il Presidente della Regione, Renato Schifani, va bene così e in Sicilia regna l’assuefazione, in attesa di scandalizzarsi per il prossimo morto al pronto soccorso”, conclude Faraone.
Roma, 22 dic. (Adnkronos) - "Appena avuta notizia dell'attentato di Magdeburgo, l'ambasciata italiana in Germania ha chiesto alle autorità locali se vi fossero coinvolti degli italiani. Ci è stato risposto che non risultavano cittadini italiani". Lo ha detto all'Adnkronos la Farnesina, parlando di Marco Forciniti - originario di Pietrapaola, in Calabria - "cittadino italo-tedesco, del cui ferimento - ha aggiunto il ministero degli Esteri - l'Unita di Crisi ha appreso dai media. Funzionari dell'ambasciata si sono recati presso l'ospedale per conoscere le condizioni di salute dell'uomo e fornirgli assistenza".
Washington, 22 dic. (Adnkronos) - Elon Musk "non diventerà presidente, questo ve lo posso dire. Ne sono sicuro, sapete perché? Non può esserlo, non è nato in questo Paese". Parlando ai sostenitori durante un evento a Phoenix, il presidente eletto Donald Trump ha affermato che il fondatore di Tesla - che è nato in Sudafrica - ha "fatto un lavoro straordinario" e ha respinto gli attacchi dei democratici che sostengono che Musk si stia comportando come un presidente 'de facto', dopo che la scorsa settimana l'imprenditore ha guidato con successo un tentativo di bloccare un disegno di legge bipartisan sui finanziamenti governativi.
"No, non prenderà la presidenza. Mi piace avere accanto persone intelligenti", ha detto Trump. "La nuova bufala è che il presidente Trump ha ceduto la presidenza a Elon Musk. No, no, non succederà".
Roma, 22 dic (Adnkronos) - "La migliore risposta alla irresponsabilità della magistratura e delle sinistre, che hanno voluto un inutile e persecutore processo a Salvini, sarà la rapida approvazione del disegno di legge sicurezza. Terremo conto di ogni osservazione. Ma ognuno stia al suo posto. Non ci sono altre istituzioni che si sostituiscono al parlamento". Lo dice il presidente dei senatori di FI Maurizio Gasparri.
"Valuteremo le obiezioni, soprattutto quelle autorevoli, e valuteremo eventuali miglioramenti. Ma il disegno di legge sicurezza sarà approvato. Per rafforzare le forze dell'ordine. Noi vogliamo tutelare il popolo in divisa a cui abbiamo dato un nuovo contratto di lavoro. Invece la sinistra ed i grillini stanno dalla parte dei teppisti che aggrediscono le forze di polizia. E anche le altre Istituzioni devono guardare alla difesa della legalità", prosegue.
"Aspettiamo, ad esempio, dal massimo esponente del CSM qualche segnale dopo la sentenza di Palermo. I procuratori che si sono alternati chiedendo condanne senza fondamento resteranno al loro posto? Il CSM discuterà di questa scandalosa vicenda di Palermo? Chi lo guida avrà qualche esternazione da fare anche cogliendo l'occasione di fine anno? O la magistratura può impunemente sabotare le istituzioni politico-parlamentari e tentare di sostituirsi al potere legislativo e a quello esecutivo con la complicità delle sinistre?", dice ancora Gasparri.
(Adnkronos) - "Nelle prossime ore parlerò chiaro anche in Parlamento sullo scandalo della vicenda Open Arms. La mia proposta che feci da Presidente della giunta per le elezioni e le immunità parlamentari era quella giusta: non processare Salvini e arrivare alle stesse conclusioni che dopo anni di ingiustizie e sprechi sono arrivate dal tribunale di Palermo”, conclude Gasparri.
Washington, 22 dic. (Adnkronos) - Una donna è stata bruciata viva stamattina a New York mentre dormiva sul treno F della metropolitana di Coney Island. Lo riportano i media americani che, citando fonti della polizia, riferiscono di un uomo che le avrebbe lanciato addosso un fiammifero acceso, facendola andare a fuoco.
Gli agenti della polizia di New York sono intervenuti in seguito alla segnalazione di un incendio avvenuto poco prima delle 7,30 presso la stazione della metropolitana di Coney Island-Stillwell Avenue e hanno trovato la donna avvolta dalle fiamme mentre era seduta sul treno. È stata trovata circondata da bottiglie di liquore, anche se non è ancora chiaro se abbiano avuto un qualche ruolo nell'incendio.