“Se domani mi chiamano per offrire me stesso lo devo fare per forza”. E ancora: “Bisogna punire questi diavoli”, “Gli italiani sono peggio degli animali”. Così il foreign fighter ceceno fermato dalla polizia di Bari si confidava con la moglie. Eli Bombataliev da tre giorni è sottoposto a custodia cauterale nel carcere di Foggia per associazione con finalità di terrorismo internazionale e istigazione a commettere delitti. L’uomo di 38 anni è accusato di aver indottrinato due fratelli albanesi, di 26 e 23 anni, e di aver spinto al martirio con un attacco suicida la moglie, Marina Kachmazova, russa di 49 anni.
Per questo motivo i due uomini che vivevano a Potenza, e la donna che viveva a Napoli, sono stati espulsi. Secondo la polizia i due fratelli sono stati coinvolti in una vera e propria attività di indottrinamento dal ceceno fermato. Nel caso della donna, invece, si tratterebbe di istigazione al compimento di attacchi kamikaze con esplosivo. Proprio lei era al centro di un lento percorso di persuasione iniziato alcuni mesi fa, culminato con la richiesta esplicita di diventare una “shahidka“, un donna kamikaze con cintura esplosiva. La donna ha risposto rimandando all’altra sua moglie: “Visto che hai un’altra moglie, che si sacrifichi prima lei”. L’uomo le ha confermato che la sua prima compagna, su cui sono in corso le indagini, sarebbe “già pronta”.
“Sai come sono questi italiani? Sono contenti se hanno fregato qualcuno, loro se ne approfittano ed umiliano le persone, sono peggio degli animali“, è una delle frasi intercettate dagli investigatori dette dal ceceno mentre commentava le riflessioni della moglie che diceva di non essere stata più trattata con rispetto da quando si era convertita all’Islam. “Bisogna punire questi diavoli“, le diceva Bombataliev. E davanti alle reticenze su un martirio vicino, insisteva dicendo: “Non c’è più tempo… è il momento di Jihad… e per questo dico io combatti per Allah e basta”.
Nella loro relazione prevalentemente telefonica, dal momento che lei viveva a Napoli, lui più volte ribadisce di non poter più avere una vera famiglia perché disposto ad immolarsi da un momento all’altro, a “partire per la crociata“. “La parte peggiore di me la conosci, cosa altro vuoi sapere… – dice ancora il 38enne in una intercettazione telefonica con la moglie – Ammazzare per me non è la cosa peggiore, io personalmente non ho ancora ammazzato nessuno… io non ho ammazzato nessuno perché non ho ancora avuto l’occasione“.
Bombataliev risiedeva nel Centro islamico a Foggia dal 2012 . L’uomo avrebbe fatto parte del commando di jihadisti aderenti al gruppo terroristico ‘Emirato del Caucaso’ che diede l’assalto alla ‘Casa della Stampa’ di Grozny, la capitale della Cecenia, la notte tra il 3 e il 4 dicembre del 2014, in cui morirono 19 persone. Secondo gli investigatori tra il 2014 e il 2015, il trentotenne ceceno avrebbe fatto parte di gruppi combattenti dell’Isis in Siria. Non solo.
Per gli investigatori della Digos, coordinati dai pm Antimafia di Bari Giuseppe Gatti e Lidia Giorgio, Eli Bombataliev era pronto a partire, probabilmente per il Belgio. Proprio sulla base del timore che potesse compiere un attentato, le forze dell’ordine hanno eseguito tre giorni fa il fermo d’urgenza. Il dettaglio emerge da alcune intercettazioni telefoniche, l’ultima captata è del 29 giugno scorso, in cui l’uomo dice di essere in attesa del permesso di soggiorno per poi andare via.
Il gip del Tribunale di Foggia, ieri, dopo aver convalidato il fermo, ha applicato nei confronti del ceceno la misura della custodia cautelare in carcere. L’inchiesta ‘Caucaso Connection’ è partita nel marzo scorso dopo il fermo, disposto sempre dalla Dda di Bari, di un tunisino accusato di apologia di terrorismo. Ricostruendo la sua rete di contatti, gli uomini della Digos sono poi risaliti al ceceno. Ai militari della Guardia di Finanza è invece toccato il compito di ricostruire i flussi finanziari, con spostamento di denaro soprattutto attraverso i canali del money transfer. L’indagine si è svolta nell’ambito di una collaborazione internazionale con il Belgio. Il presunto jihadista era inserito, infatti, in una rete di reclutatori e combattenti ceceni dell’Isis attivi in quello Stato, ed era segnalato dall’Aisi, l’Agenzia informazioni e sicurezza interna.