Il magistrato, due volte in Parlamento con il centrosinistra, è stato nominato dal Csm come presidente del Tribunale di Pordenone. L'ex pm di Mani Pulite, contrario alle toghe in politica: "Avevamo chiesto di non designare a funzioni giurisdizionali chi è stato eletto". Per Albamonte e il suo vice Sangermano si tratta di "neo populismo giudiziario"
È scontro tra Piercamillo Davigo ed Eugenio Albamonte, ex ed attuale presidente della Associazione nazionale magistrati. Tutto nasce dalla decisione di Autonomia e Indipendenza, gruppo a cui appartiene il pm di Mani Pulite, di lasciare la Giunta unitaria dell’Anm dopo poco più di un anno. La miccia è stata l’abbandono, la polemica è invece scoppiata attorno alle reali ragioni. Perché quando venerdì Davigo ha annunciato l’uscita di Michele Consiglio e del vice-segretario Francesco Valentini dall’organo di vertice dell’associazione ha spiegato che esiste “una divergenza sostanziale sul ruolo dell’Anm, che non può ignorare il disagio dei colleghi di fronte all’incomprensibilità delle decisioni del Csm” sugli incarichi direttivi. Una ‘scusa’, secondo Albamonte, per nascondere “l’obiettivo di crearsi una verginità” da parte di un gruppo, quello guidato dal pm di Mani Pulite, “che ha posizioni caratteristiche del populismo“.
“Non possiamo condividere un indirizzo che su punti fondamentali non ci trova d’accordo – aveva spiegato Davigo – La tutela del prestigio del Csm si tiene aiutandolo a non farlo sbagliare. Non possiamo assistente inerti a quello che sta accadendo”. Motivazioni bollate subito come “gratuite e strumentali” da parte del vice presidente dell’Anm, Antonio Sangermano. “Dopo aver fatto il presidente per un anno e averci deliziato con i suoi anatemi, ha ora deciso di abbandonare l’unità associativa perché evidentemente non gli conviene più”, è la denuncia di Sangermano che ha poi invitato le componenti “responsabili” dell’Anm a proseguire “nel cammino unitario intrapreso senza cedere alla tentazione di inseguire il neo populismo giudiziario”. Parole a cui hanno fatto eco quelle di Magistratura Indipendente che accusa Davigo d’essere in “campagna elettorale permanente”.
A cosa si riferiva l’ex presidente dell’Anm? La ragione della rottura è legata alla nomina a presidente del Tribunale di Pordenone dell’ex parlamentare del centrosinistra Lanfranco Tenaglia, deputato prima con L’Ulivo e poi con il Partito Democratico tra il 2008 e il 2013 e ministro della Giustizia nel governo ombra voluto da Walter Veltroni. Lo ha spiegato anche in un’intervista a Repubblica, senza citare Tenaglia: “Abbiamo approvato un documento per chiedere al Parlamento di inserire nel ddl sulle toghe in politica l’obbligo di destinare a funzioni non giurisdizionali chi è stato eletto – dice l’ex presidente dell’Anm – Ma poi un magistrato che torna in ruolo dopo due mandati parlamentari viene proposto come presidente di un tribunale…”. A quel punto – continua Davigo che sulle toghe in politica si detto contrario anche nell’ultimo discorso da presidente – “abbiamo chiesto di intervenire visto che i gruppi al vertice dell’Anm sono gli stessi che al Csm fanno le nomine, per cui non ci possono essere posizioni diametralmente opposte”.
Ma la questione Tenaglia, secondo l’attuale presidente Albamonte, sarebbe solo un pretesto: “Davigo ha fatto il primo turno di presidenza, ha raccolto una visibilità personale e alla prima occasione ha abbandonato la nave – attacca – L’obiettivo è crearsi una verginità e attrarre l’elettorato su una prospettiva di chissà quale purezza”. Un giudizio molto critico quello espresso da Albamonte in un’intervista al quotidiano Il Tempo. Quanto alle presunte “ambizioni politiche” di Davigo, Albamonte ha osservato: “Mi è capitato di constatare che una serie di magistrati di Autonomia e Indipendenza e lo stesso Davigo hanno partecipato a iniziative pubbliche organizzate dal Movimento 5 Stelle, da ultima quella in cui Di Matteo ha detto di non candidarsi alle prossime politiche. Certo le posizioni del gruppo di Davigo hanno delle caratteristiche di populismo che potrebbero essere avvicinate ad altri tipi di populismo”.
La scelta dell’ex pm di Mani Pulite, ha continuato, “è un modo per affermare la sua differenza rispetto al resto della magistratura, ma se è così differente non vedo perché abbia accettato di essere fino a pochi mesi fa presidente di tutti i magistrati italiani”. La ragione, secondo Albamonte, risiederebbe invece nel fatto che “tra un anno ci sono le elezioni al Csm: alla scorsa tornata Autonomia e Indipendenza ha avuto solo un consigliere e il gruppo di Davigo pensa di farsi campagna elettorale dicendo che le cose fatte dai consiglieri degli altri gruppi sono illegittime”.