Ci sono tanti modi e luoghi per nascondere le tangenti. All’inizio, nell’era di Mani Pulite, l’allora direttore del servizio farmaceutico nazionale, Duilio Poggiolini, aveva infilato miliardi (in lire), lingotti e monete d’oro, dentro un pouf, nella sua casa a Napoli. Lo soprannominarono il “Re Mida” della sanità e lo accusarono di decine di episodi di corruzione. Marietto Chiesa, l’ingegnere e assessore milanese da cui cominciò Tangentopoli nel 1992, non trovando nulla di più sicuro e per non farsi beccare con il sorcio in bocca, preferì gettare nel water una mazzetta che aveva appena ricevuto. Non gli servì a nulla. Claudia Minutillo, ex segretaria di Giancarlo Galan, coinvolta nello scandalo Mose, mise a verbale che un giorno alcuni uomini della guardia di Finanza entrarono negli uffici del Consorzio Venezia Nuova e siccome in un cassetto c’erano circa 500mila euro pronti per la consegna, uno degli indagati gettò il tesoro dietro un armadio, riuscendo (per il momento) ad evitare guai.

Cambiano le epoche, mutano gli scandali, ma i metodi restano sempre gli stessi. L’ultima arriva dall’inchiesta veneziana sulle mazzette pagate da imprenditori a funzionari dell’Agenzia delle Entrate e a finanzieri, per ottenere verifiche fiscali compiacenti o per strappare l’abbattimento degli importi da pagare all’Erario. Massimo Esposito è stato direttore dell’Agenzia provinciale delle entrate di Venezia. Un posto strategico per chi voglia ottenere entrate extra, dirottando il denaro dovuto allo Stato. Ma dove nasconderlo? Il funzionario aveva risolto il problema piuttosto brillantemente. I rotoli di banconote li inseriva all’interno del corrimano in alluminio di una scala a chiocciola, in una casa di cui aveva la disponibilità.

Il nascondiglio era non solo a prova di ladri, ma di eventuali perquisizioni della Finanza. Infatti ha dovuto indicare lui il luogo dell’insospettabile cassaforte. Solo così gli uomini del Nucleo di polizia tributaria di Mestre sono riusciti a recuperare circa 60mila euro in contanti. Una settimana fa Esposito, che era finito agli arresti in carcere, è stato interrogato dai pubblici ministeri Stefano Ancilotto e Stefano Buccini. Forse pensava di cavarsela con una confessione, per riottenere la libertà. Ma i magistrati, che grazie all’inchiesta Mose hanno recuperato qualche decina di milioni, non si sono accontentati. Se ci sono le mazzette, il malloppo dev’essere finito da qualche parte. Già, ma dove?

Alla fine Esposito ha ceduto, anche perché gli sono state fatte sentire alcune registrazioni compromettenti che facevano riferimento proprio al modo di far sparire il prezzo della corruzione. I finanzieri hanno impiegato un po’ di tempo per aprire il corrimano, ma alla fine le banconote sono venute alla luce del sole. Fa sorridere il pensiero che, per spendere il maltolto, qualcuno debba ricorrere a un fabbro. Ma evidentemente Esposito aveva il suo trucco per sbloccare il corrimano. Il funzionario è imputato, assieme a Elio Borrelli, che dirigeva il Centro operativo di Venezia delle Entrate, di aver ricevuto 90mila euro dall’imprenditore Aldo Bison. La confessione di Esposito potrebbe aprire nuovi filoni d’inchiesta, con nuovi indagati e provvedimenti restrittivi, anche perché ormai molti imputati hanno deciso di collaborare. Ad esempio lo stesso Borrelli, che ha rilasciato un lungo interrogatorio una settimana fa. Nonostante il Tribunale del riesame abbia ridimensionato alcuni episodi, la struttura portante dell’inchiesta ha retto e delinea un sistema collaudato di approccio dei pubblici ufficiali con i privati per ottenere soldi o regali. Ad esempio orologi Rolex del valore di 10mila euro ciascuno.

I regali si portano al polso, ma i soldi non si possono mettere in banca, perché qualcuno potrebbe insospettirsi. Si devono nascondere. In Puglia un sottufficiale dei carabinieri li usava per infarcire i panettoni. In Toscana viaggiavano dentro forme di parmigiano. A Caltanissetta 10mila euro furono consegnati con un vassoio di cassate. A Torino un professionista utilizzò un panino per la consegna a un impiegato ministeriale. A Firenze le buste con la mazzette già pronte erano dentro alcuni volumi, in libreria. Paese che vai, tangente che trovi. Ma il risultato non cambia mai.

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