Tra ferie e sessione di bilancio, al Parlamento restano solamente venti giorni di lavoro di qui al voto. E i provvedimenti sui diritti civili sono sempre scavalcati da altre “urgenze” inserite nel calendario
“Dobbiamo andare avanti!” dice Matteo Renzi parlando dello ius soli. Lui parla alla direzione del Pd e, disdetta, nello stesso momento – proprio nello stesso momento – la legge al Senato, dove il Pd è ancora il partito più rappresentato, viene sorpassata da qualsiasi cosa passi da lì, perfino dall’annessione del Comune di Sappada al Friuli Venezia Giulia. Prima era stata la riforma del Codice antimafia, infine all’ultimo giro è sfrecciato in testa il decreto vaccini. “Metteremo la fiducia” diceva mesi fa il presidente del Pd Matteo Orfini. Dopo settimane, settimane e settimane la fiducia non c’è, eppure – giurano molti parlamentari democratici parlando con i cronisti delle agenzie – la blindatura del testo con il voto di fiducia è l’unica speranza per il provvedimento di vedere finalmente la luce.
La fiducia non c’è e non si intravede nemmeno e così per la legge che riforma la cittadinanza – una “legge di civiltà” l’ha definita Renzi in direzione – comincia il conto alla rovescia, tic-tac, tic-tac. Ma lo Ius soli è come il biotestamento e il biotestamento è come il ddl sugli orfani per femminicidio. “Leggi di civiltà”, sacrosante, che serve al Paese, il progresso, i diritti. Eppure restano lì a galleggiare, messe da parte e riprese per essere sventolate e poi richiuse nel cassetto. Ci sono le urgenze – che a volte urgenze non sono nemmeno – e soprattutto ci sono le elezioni politiche alle porte e ciascuno pensa a cosa penseranno i propri elettori. Nel dubbio, insomma, meglio andare piano.
Dallo Ius Soli al biotestamento fino al codice antimafia. La maggioranza promette, ma il tempo stringe. Quanto tempo? L’Ansa ha fatto un conto. Il presidente della Repubblica Sergio Mattarella ha già detto più o meno chiaramente che vorrebbe che le elezioni politiche fossero a primavera, quindi più o meno ad aprile. Le Camere vengono sciolte almeno un mese e mezzo prima. Restano 8 mesi, quindi. Col cavolo: bisogna togliere intanto l’unica regola che non slitta mai, quella delle vacanze. Quindi via un po’ di settimane d’estate, via un po’ di settimane sotto la neve natalizia. Restano cinque mesi. Nemmeno per idea, visto che in Parlamento – cioè nelle Aule – si lavora al massimo tre giorni a settimana (quando va bene). Poi ci sono 15 giorni in cui il regolamento dice che non si può parlare d’altro che di legge di bilancio, quindi tra ottobre, novembre e dicembre si discuterà di Finanziaria e per governo e maggioranza peraltro non sarà come giocare sereni a una partita di bridge in una club-house nelle campagne inglesi.
Restano 45 giorni, secondo l’Ansa. Tutti buoni? Macché: cosa resta da fare? Per i giochi e i controgiochi di inizio estate i partiti hanno bombardato quella specie di accordo sulla legge elettorale, un accordo così serio che si è scoperto all’improvviso che non erano d’accordo quasi su nulla, nemmeno sul sistema elettorale da usare in Trentino Alto Adige. Poiché Mattarella vuole una riforma perché la legge elettorale sia omogenea sia alla Camera che al Senato (invece dello sgorbio attuale) di tempo ne servirà abbastanza. Quindi, in conclusione, restano una ventina di giorni per leggi su cui peraltro la maggioranza al suo interno non è mai d’accordo e le opposizioni trovano sempre il modo per ritirare fuori dalla carbolina il vecchio detto per cui il meglio è nemico del bene.
Il testamento biologico, per dire. Tutti si ricordano le vesti stracciate quando morì Dj Fabo. Serve una legge, serve una legge: le poste elettroniche dei giornali esondavano di comunicati stampa pieni di tantissime parole, uno ciascuno dei mille parlamentari che si raccomandavano, disperati, che serve una legge, serve una legge, non si può andare avanti così. Ecco, il biotestamento doveva arrivare in Aula, al Senato, il 27 giugno. Invece non c’è ancora andato e non c’andrà né domani né la prossima settimana. Ci arriverà solo il 25 luglio. Cioè una quindicina di giorni prima dell’inizio della pausa estiva del Parlamento. Tradotto significa: vi prendiamo per i fondelli. In commissione, infatti, ci sono 3mila emendamenti – presentati in gran parte dai partiti clericali – che saranno ripresentati quasi certamente tali e quali in Aula. La relatrice della legge, la democratica Emilia De Biasi, dice che forse si comincerà la discussione in assemblea senza mandato al relatore. “Io sono per fare un passo alla volta senza mettere il carro davanti ai buoi”. Metti che poi si facciano le cose di fretta. “Significa far saltare la legge per questa legislatura” dicono i Radicali, stremati.
Poi c’è il codice antimafia, quello che ha scavalcato lo Ius soli per volere del Pd. Poiché il Pd la considerava una “legge strategica” (definizione di Luigi Zanda, capogruppo al Senato), se l’è votata quasi da solo al Senato, visto che Alternativa Popolare in massa ha disertato il voto, e solo grazie alle numerose assenze dei berlusconiani, sia di Forza Italia sia di Ala, che hanno abbassato il quorum. Ma proprio mentre l’hanno approvata i democratici si sono accorti dei difetti sottolineati dal presidente dell’Anticorruzione, Raffaele Cantone. “Faremo quelle modifiche” ha detto il presidente del Pd Matteo Orfini. L’ha detto il giorno prima della fine della votazione degli emendamenti. Ma invece di inventarsi qualcosa per cambiare il testo subito al Senato e quindi approvare una volta la riforma del Codice alla Camera in terza lettura – in quel caso vidimata anche da Cantone – Orfini ha twittato per cambiarla a Montecitorio chissà quando. E una volta cambiata a Montecitorio chissà quando il testo deve tornare di nuovo al Senato per l’ultima lettura. E qui non c’è solo il tempo che manca: a Palazzo Madama la maggioranza è quella che è, cioè basculante al primo raffreddore, soprattutto in materie di giustizia sulle quali Pd e alfaniani sono separati in casa: basterebbe chiedere alla bocca dello stomaco del ministro guardasigilli che ha visto approvare la riforma penale dopo un centinaio di giri sulle montagne russe.
Ma nei bagni del Parlamento ogni tanto si guardano allo specchio. Così a inizio maggio la conferenza dei capigruppo del Senato aveva deciso che il disegno di legge in favore degli orfani da femminicidio doveva essere discusso e approvato in commissione in sede deliberante. Cioè una volta avuto l’ok, non avrebbe avuto bisogno di andare di nuovo in Aula, con discussione generale, emendamenti da presentare, obiettare e votare, dichiarazioni di voto, voto finale. No: in questo caso si sarebbe dovuto solo discutere, modificare e votare in commissione. Una volta per tutte, per giunta: la legge era passata all’unanimità alla Camera. Invece no. Questa volta a fermare la legge sono stati Forza Italia, Lega Nord e Giovanardi ai quali non sta bene che la legge riguardi anche gli orfani delle coppie delle unioni civili, perché per l’uguaglianza tra gli adulti la speranza è persa, ma nemmeno i bambini possono essere tutti uguali davanti alla legge.
E mentre per l’introduzione del reato di tortura è servito quasi che truppe a cavallo dall’Unione Europea arrivassero fino al Quirinale, di quante ore, di quanti giorni, mesi, di quanti anni c’è bisogno ancora di parlare della legalizzazione della cannabis? Tranquilli, la Camera l’ha calendarizzato in Aula. A settembre.