Si è dimessa l’assessore regionale della Calabria Carmen Barbalace indagata nell’inchiesta “Mandamento Jonico”, che la settimana scorsa ha portato all’arresto di 116 persone accusate di fa parte delle principali cosche mafiose della Locride. Il suo nome compariva nell’elenco dei 291 indagati anche se all’assessore allo Sviluppo economico e alla promozione dell’Attività produttiva non venivano contestati reati di ‘ndrangheta.
Per lei l’accusa è di abuso d’ufficio, truffa aggravata e truffa aggravata per il conseguimento delle erogazioni pubbliche. Fatti che si riferiscono al 2010-2012 quando la Barbalace, all’epoca semplice dipendente della Regione Calabria, era componente della commissione di riesame che doveva valutare le istanze prodotte dagli imprenditori agricoli esclusi dalla graduatoria del bando per i fondi Psr.
Secondo la ricostruzione della Procura, il futuro assessore regionale (è stato nominato dal governatore Oliverio del Pd solo nel 2015) avrebbe favorito l’indebita erogazione dei fondi comunitari all’imprenditore Giuseppe Scaramozzino. Pure lui è indagato dalla Procura di Reggio, poiché attraverso “artifici e raggiri” avrebbe dichiarato di possedere requisiti, in realtà inesistenti, che gli hanno consentito di partecipare al bando e ottenere un finanziamento di 55mila euro.
Nella lettera di dimissioni, Barbalace parla di “profonda amarezza che nasce dalla consapevolezza dell’assoluta estraneità della mia persona rispetto ai contesti criminali che vengono descritti nel provvedimento emesso dalla Procura della Repubblica di Reggio Calabria e dalla correttezza, trasparenza e onestà che hanno improntato la mia azione amministrativa”. “Le mie dimissioni – scrive sempre l’assessore – costituiscono un atto di assoluto e incondizionato rispetto nei confronti della magistratura e, soprattutto, dei cittadini calabresi. Non posso esimermi, nel contempo, dall’esprimere le mie perplessità in ordine ai meccanismi che innesca l’ipotesi di reato, tutta da verificare, e ai riflessi che riverbera in ambito umano e politico-amministrativo. Non ho il benché minimo dubbio sul fatto che i magistrati reggini, ascoltate le mie ragioni, sanciranno la mia estraneità rispetto a qualsivoglia ipotesi di reato. Ma sarà passato un tempo inaccettabile, infinito. E nessuno potrà ristorarmi dei danni che fino ad allora avrò subito”.
La Barbalace, quindi, fa un passo indietro nel “rispetto dei cittadini calabresi” e il Pd locale, incassate le dimissioni, plaude all’ormai ex assessore, riconoscendole “coraggio e coerenza”. Due caratteristiche per le quali, a queste latitudini, il Partito democratico spesso va in confusione. Non si comprenderebbero, infatti, le ragioni per cui se un assessore indagato si dimette, è “coraggioso e coerente” ma se un politico è indagato o imputato lo si candida.