Giovedì 6 un bimbo di 5 anni a Roma è stato travolto e ucciso da un’auto, sulle strisce: l’ennesima piccola vittima della strada. Chi lo ha ucciso, sconvolto, dice che non l’aveva visto, che è sbucato all’improvviso. In effetti basta poco per ammazzare sulla strada, non c’è bisogno di essere ubriachi o drogati. Tutti possiamo distrarci, confonderci, essere abbagliati dal sole, pensare ad altro, sbadigliare o starnutire, dare un’occhiata al cellulare, avere un colpo di sonno o un crampo. Non bisogna demonizzare gli automobilisti, è vero, ma l’auto sì.

Mi dicono: “Ma l’auto è un mezzo come un altro”. No, non è vero. Ogni mezzo ha il suo peso, la sua velocità, la sua intrinseca e potenziale letalità. E quella delle auto è alta. Sparare a 30-50-80-100 km/h una o due tonnellate di ferraglia è potenzialmente letale. Ma questo concetto è di difficile comprensione: per gli italiani, guidare è un’abitudine dura a morire, una moda consolidata da decenni di martellamento pubblicitario che hanno dipinto l’auto come innocua, familiare, un mezzo per raggiungere libertà e benessere.

Così a Roma circolano giornalmente 572.971 vetture che trasportano 767.372 persone, per una media di 1,34 passeggeri per auto (Anci 2016). Roma ha anche il più alto tasso di immatricolazione, 76 auto ogni 100 abitanti, mentre città come Madrid hanno 32 auto ogni 100 abitanti, Tokyo 27 auto ogni 100 abitanti, Copenaghen 26 auto ogni 100 abitante, solo a Manhattan 13 auto ogni 100 abitanti (elaborazione Legambiente su dato Us Metropolitan transport commission).

In città con alta densità di auto, l’entropia aumenta, l’insicurezza aumenta, e gli incidenti aumentano. E’ più che probabile che qualche bimbo finisca sotto le centinaia di migliaia di vetture in marcia. Immaginatevi di camminare in una città dove i marciapiedi lambiscono dirupi, ponti stretti che attraversano voragini. Questo incubo sono le nostre città. Se sei pedone e scendi dal marciapiede, muori travolto. Le strade sono buchi neri, precluse agli utenti deboli, ai quali sono destinati ghetti e porzioni strettissime per camminare (spesso e volentieri occupate da auto in divieto di sosta).

Milioni di auto che viaggiano in tutta la penisola con un solo conducente a bordo e compiendo pochi chilometri sono una follia, oltre che un incubo. Basterebbe aumentare le zone a traffico limitato, aumentare i sensi unici di marcia per le auto liberando corsie per le bici, diminuire i parcheggi in città, limitare la circolazione solo alle auto piene o con permessi particolari (trasporto disabili, anziani), potenziare e rendere capillare il trasporto pubblico (treno e bus) anche in zone collinari e tra paesini. Le auto si ridurrebbero automaticamente.

Da due anni e mezzo è fermo in Senato il disegno di legge n. 1638 (Delega per la riforma del Codice della Strada): controlli severi della velocità, più diritti agli utenti deboli della strada, riorganizzazione del traffico urbano tenendo al centro pedoni e ciclisti, promozione della mobilità pedonale, ciclabile, e del Trasporto pubblico locale (Tpl). Per sollecitare il Senato a legiferare, la Federazione italiana amici della bicicletta (Fiab) ha promosso la campagna CodiceDiSicurezza. Come scrive Giulietta Pagliaccio, la coraggiosa presidente della Fiab: “Chiediamo lo spazio che ci spetta, perché lo spazio pubblico è anche di chi un’auto non ce l’ha”(BiCi, n.3).

In modo ipocrita invece, si lanciano messaggi che colpevolizzano gli utenti deboli. Si invocano misure di sicurezza incentrate su ciclisti e pedoni, per ghettizzarli ancora di più e prima o poi, magari, farli sparire del tutto: casco obbligatorio per i ciclisti, targhe per le bici, giubbotti catarifrangenti per i pedoni, e (perché no?) guinzagli per i bambini. Basta però guadarsi intorno: dove imposto, il casco obbligatorio per i ciclisti ha ridotto significativamente il numero di coloro che si spostano in bici, disincentivando la gente a usare la bici (Ceri Woolsgrove, Ecf road safety police officer).

E dove diminuiscono le bici, aumentano gli incidenti stradali: l’ormai famoso lavoro di Jacobsen, Safety in Numbers (2004) ha dimostrato che il rischio di incidente per ciascun ciclista diminuisce all’aumentare del numero totale dei ciclisti. Non a caso i paesi ad elevata ciclabilità (Danimarca, Olanda) sono anche quelli a più bassa incidentalità.

Per non parlare del risparmio a livello di salute e ambiente: i costi da inquinamento imputabili al traffico veicolare sono stimati in 70 miliardi di euro l’anno. Meno auto vuol dire anche più spazio pubblico: un quarto del suolo cittadino è occupato dalle auto, ferme o in movimento. Quanto suolo si potrebbe recuperare per il verde e la comunità, togliendolo alle auto?

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