Diritti

La Corte di Strasburgo dà ragione al Belgio: “Vietare il velo in pubblico non viola nessuna libertà e non discrimina”

Nella sentenza si legge che il divieto non è un atto discriminatorio e non viola il diritto al rispetto della vita privata e alla libertà di pensiero, coscienza, religione

La Corte europea dei diritti umani ha dato ragione al Belgio, confermando che la legge che vieta alle donne musulmane di indossare il velo integrale o parziale in luoghi pubblici non è un atto discriminatorio e non viola il diritto al rispetto della vita privata e alla libertà di pensiero, coscienza, religione. Il ricorso è stato presentato da tre donne di religione musulmana che si sono schierate contro le leggi municipali e nazionali introdotte nel 2008 e 2011, considerate, secondo le parole del legale, “una sproporzionata intrusione dello Stato nella sfera dei diritti individuali come la libertà di espressione e di religione”.

I giudici sostengono che il divieto di indossare il niqab in luoghi pubblici è giustificabile perché la legge mira a garantire le condizioni del vivere assieme. La Corte aggiunge tra l’altro che gli Stati, in questo caso il Belgio, sono in una posizione migliore rispetto a quella della corte di Strasburgo per giudicare “le necessità locali e nazionali e il contesto”. Adottando questo divieto lo Stato belga, affermano i giudici, ha voluto rispondere a una pratica considerata incompatibile nella sua società con la comunicazione interpersonale e con la costruzione di relazioni umane, indispensabili per la vita collettiva.

Il divieto, adottato in primis dalla Francia nel 2010, è stato approvato dalla Camera Bassa del Parlamento belga nell’aprile del 2010 ma è entrato ufficialmente in vigore nel luglio del 2011 dopo il via libera del Senato. La legge è stata votata praticamente all’unanimità, con appena due voti contrari, e stabilisce che per ragioni di sicurezza, in luoghi pubblici come parchi o strade, è vietato indossare abiti che nascondano l’identità di una persona.