Televisione

Temptation Island visto da un critico cinematografico: demenzialità alla Ben Stiller, isteria alla Muccino e corna chabroliane

Il programma di Canale5 si candida a sintesi suprema del racconto cinematografico contemporaneo che sciorina perfino sceneggiatori che hanno nel DNA la pungente attualità del quotidiano sentire e vivere: “Due bei bicipiti fanno più di un mazzo di rose”. Agonizzante cinema italiano che aspetti a reclutare costui o costoro?

di Davide Turrini

Metti una sera che non funziona il lettore dvd per vedere il secondo tempo de Il commissario Pelissier di Claude Sautet. Metti una sera che all’arena all’aperto della piazza danno I sette samurai di Kurosawa che hai già visto quattro volte. Metti una sera che accendi il televisore pigiando involontariamente il tasto cinque del telecomando. Il diavolo è tentatore. E basta un attimo per essere catapultati, senza i titoli di testa, in una puntata di Temptation Island. Roba grossa, antica come la drammaturgia. Questione di corna, perversamente chabroliane: la classe medio-bassa di provincia, infatti, c’è tutta. Dal titolo potrebbe sembrare uno di quei thriller scabrosetti inizio anni novanta che si trovavano nell’ultima corsia del videonolo.

Invece appena decodifichi il senso della messa in scena, la tecnica reiterativa e modulare del dramma, il programma tv di Canale Cinque somiglia a un melò di Raffaello Matarazzo. Ci sono le forze avverse del destino, c’è una certa testardaggine degli individui nel ripetere l’errore che sta alla base del tradimento, ma soprattutto c’è una capacità di portare all’estremo, di stressare ogni situazione sentimentale per arrivare ad un dunque epocale e tragico come nel più straziante dei melodrammi.

Il plot è pura retorica dell’artificio finzionale. Sei coppie non sposate e senza figli chiuse per cinque settimane in un villaggio in riva al mare con piscina e lussuose sedie di paglia. Uomini in un villaggetto, donne in un altro, vengono ‘tentati’ rispettivamente da una decina di donne e uomini single. L’isteria generale, la concitazione dell’incedere, si ispira allo stile Muccino de L’Ultimo bacio. Altro precipitato del film generazionale mucciniano è la percezione precisa sbattuta emotivamente in faccia allo spettatore della mancanza di attrattività nel rapporto sentimentale di partenza. La minestra riscaldata del focolare domestico è cenere al vento.

L’esplosività dei corpi, rasati, tatuati, abbronzati, (non sempre) palestrati, è buttata lì per farsi beffa del conformismo di coppia. Changer la femme, e l’homme. Baruffe chiozzotte con il condimento del sex appeal di costumini da bagno, vestiti da gran sera, bagni e strusci di virili membra e morbidi seni. Ed infatti ecco la solidarietà riflessiva tra cornute che invece nelle versione maschile riassume perfino le titubanze e la demenzialità dei miglior Ben Stiller’s movies o delle inconcludenti collettività testosteroniche da Una notte da leoni.

Il tutto con il brivido della riproduzione dei video consegnati su piccoli pc a uomini e donne su cui viene rappresentata in forma ridotta, palmare, un’ossessione del tradimento che avrebbe fatto impallidire una qualunque regia di Atom Egoyan. Senza dimenticare che quando qualcuno viene a conoscenza attraverso i video del tradimento altrui, soprattutto le donne, fuggono in lacrime tra le frasche del villaggetto, perfino di notte, pedinate da zoomate e videocamere nascoste che non sono altro che il richiamo indefesso al Truman Show di Peter Weir. Insomma, Temptation Island si candida a sintesi suprema del racconto cinematografico contemporaneo che sciorina perfino sceneggiatori che hanno nel DNA la pungente attualità del quotidiano sentire e vivere: “Due bei bicipiti fanno più di un mazzo di rose”. Agonizzante cinema italiano che aspetti a reclutare costui o costoro?

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