“L’elezione del nuovo califfo, successore di Abu Bakr al Baghdadi, non sarà facile a causa delle tensioni fra i combattenti fondamentalisti iracheni e quelli provenienti dal resto del Medio Oriente”. A dirlo è Mustafa Habib, analista e giornalista di Niqash, basato a Baghdad, raggiunto dal IlFattoQuotidiano.it. Della presunta uccisione dell’autoproclamato Califfo ha parlato il canale televisivo iracheno Al Sumariya, che cita “una fonte nella provincia di Ninive” che si dice certa della morte del leader dell’Isis. La stessa fonte, secondo l’emittente, ha aggiunto che “le autorità di Daesh a Tel Afar, diventata la ‘capitale’ provvisoria dello Stato islamico dopo la caduta di Mosul, hanno spiegato che il nome del nuovo Califfo verrà annunciato presto”.

Ma le trattative per la scelta del nuovo leader potrebbero essere lunghe. “Lo Stato islamico – spiega Habib – è stato fondato da combattenti iracheni che sono quelli che comandano ma, allo stesso tempo, sul terreno sono i più deboli. Mentre i combattenti arabi provenienti da altri Paesi della regione sono i più forti in battaglia e i più radicalizzati: useranno la morte di al Baghdadi per prendere il comando nell’organizzazione, a discapito degli iracheni”. In questo caso, l’organizzazione potrebbe perdere i suoi connotati iracheni e attrarre maggiormente combattenti arabi, a discapito di quelli locali.

Secondo l’analista, la sconfitta militare dell’Isis a Mosul non basta a estirpare il radicalismo, che si alimenta dalle tensioni confessionali intra-irachene, anche se il 10 luglio il primo ministro iracheno Haidar al Abadi, visitando la città, ha annunciato “la vittoria”, parlando di “crollo dell’organizzazione fallimento del loro progetto”. “La guerra all’Isis è la cosa più semplice. Ma l’ideologia radicale è esplosa a causa della marginalizzazione e delle persecuzioni che i sunniti hanno subito in Iraq dal 2003, dopo la caduta di Saddam Hussein che ha portato gli sciiti, al suo tempo discriminati, al potere. Lavorare alla riconciliazione e garantire che i sunniti possano avere voce nelle loro città è un punto fondamentale”.

In questo senso, l’Iraq deve affrontare molte sfide, sia militari che politiche, per ritrovare la stabilità. Gli sforzi dell’esercito iracheno oggi si concentrano sui nuovi fronti di “Tel Afar, a ovest di Mosul, a Hawija, a sud di Kirkuk, e a Qaim, ovest di Anbar”, ancora sotto il controllo degli uomini del Califfato. Ma, aggiunge Habib, “politicamente e socialmente, le sfide sono molte e complicate: la ricostruzione delle città che hanno bisogno degli aiuti internazionali, la riorganizzazione delle forze armate e irachene e lo smantellamento delle milizie sunnite e sciite che si devono integrare con polizia e forze armate”. Questo per evitare che continuino ad esistere forze paramilitari, collegate a partiti, che portano avanti agende autonome da quella dello Stato centrale.

Dopo la liberazione di Fallujah, la prima grande città liberata dall’Isis, l’agenzia stampa Reuters ha riportato la notizia che 700 uomini, sunniti, erano stati sequestrati dalle milizie sciite nel giugno 2016. Lo stesso scenario , prosegue il giornalista iracheno, “si potrebbe ripetere a Mosul anche se il coinvolgimento delle milizie sciite sul terreno è stato limitato. Ma certamente ci sarà un problema di sicurezza e politico nel futuro”.

Proprio per sostenere il futuro dei giovani iracheni, alle prese con il radicalismo e l’incertezza, è nata una campagna: ‘Sono iracheno, io leggo‘. “E’ un’iniziativa lanciata un anno fa a Baghdad, dopo la distruzione della biblioteca centrale dell’università di Mosul a causa delle operazioni militari. Gli attivisti stanno raccogliendo migliaia di volumi per rifornire le biblioteche distrutte della città e per promuovere un festival della cultura a Mosul. Queste iniziative – conclude Habib – sono molto importanti per ricostruire il tessuto sociale dell’Iraq”.

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