Tre settimane e spiccioli per firmare il decreto che uniforma le regole da rispettare, appena cinque mesi per sbloccare i fondi che garantiranno la prima tranche di lavori per l’adeguamento alle nuove norme. Meno di un anno e tutti i piani dei Sistemi di gestione della sicurezza erano già sui tavoli del controllore, ora pronto ad approvarli entro il prossimo autunno. Ci sono voluti 23 morti – studenti e pensionati, operai e avvocati – perché il Governo decidesse di iniziare a fare quello che avrebbe dovuto finire entro il 2011: obbligare i treni regionali gestiti dalle ferrovie ex-concesse a viaggiare secondo i migliori standard di sicurezza.
L’incidente – Accadde tutto un anno fa, il 12 luglio 2016, quando due treni di Ferrotramviaria si scontrarono sulla linea Bari-Barletta tra le stazioni di Andria e Corato. Uno dei due convogli avrebbe dovuto aspettare prima di partire, ma per colpa di un errore umano si ritrovarono a correre l’uno contro l’altro, senza saperlo. Non sarebbe mai accaduto se la linea fosse stata attrezzata con un sistema di sicurezza diverso dal blocco telefonico, obsoleto ma adeguato secondo le regole allora valide per le concessionarie private che operano sulle tratte locali. E così persero la vita il quindicenne Antonio Summo ed Enrico Castellano, 72 anni, assieme ad altre 21 persone. Una strage.
La doppia normativa – Evitabile, perché la linea pugliese – come un’altra ventina di altre reti regionali interconnesse con quella nazionale – avrebbe dovuto adeguarsi entro il 2011 alle regole europee recepite dall’Italia con un decreto legislativo del 2007. Per ottenere quei “certificati di sicurezza”, però, servivano investimenti, stanziamenti. Soldi. E allora si è proseguito così: la rete Rfi – quella dove viaggiano i vettori di Trenitalia, tanto per intenderci – è stata attrezzata e dotata delle migliori tecnologie che impediscono nella pratica che vi sia uno scontro perché in caso di errore la marcia del treno si arresta automaticamente. Standard di sicurezza alti e regole stringenti sotto l’occhio vigile dell’Ansf, l’Agenzia nazionale per la Sicurezza ferroviaria. Mentre le reti regionali hanno continuato a seguire le norme dell’Ustif, ente periferico del ministero dei Trasporti, che aveva maglie meno stringenti. Per questo, Ferrotramviaria poteva viaggiare affidandosi solo ai dispacci telefonici tra i capostazione come sistema di controllo del traffico.
Perché si è andati avanti così? – Passare tutte le reti locali italiane sotto l’ombrello dell’Ansf avrebbe provocato – oltre alla necessità di investire – pesanti problemi. Esattamente quello che è successo quando sull’onda emotiva del disastro e delle vittime pugliesi, l’iter è stato sbloccato. Da fine settembre, infatti, l’Agenzia nazionale per la Sicurezza ferroviaria ha imposto un limite di velocità di 50 chilometri orari a tutti i treni che viaggiano al di fuori delle regole previste dalla normativa: “Adeguatevi o andate piano”. Si rinviava, insomma, per evitare disagi e obblighi di investimento su oltre 2.000 km di linee inserite capillarmente nel territorio.
Il rapporto: “Necessario allinearsi alle regole” – “Come evidenziato dall’incidente”, scrive l’Ansf nel suo Rapporto preliminare relativo al 2016 sullo stato della sicurezza delle ferrovie italiane, “è necessario seguire un percorso di attrezzaggio tecnologico e di allineamento alle normative ed agli standard nazionali e internazionali sulle reti regionali”. Infatti, prosegue la relazione, “ad oggi il traffico di tali reti è in minima parte coperto da sistemi automatici di protezione della marcia treno” e “nelle more del completamento dei piani di adeguamento tecnologico, l’Agenzia ha chiesto l’adozione immediata di misure di mitigazione del rischio associato”. Il limite di velocità, appunto, attendendo gli investimenti e i lavori. E la restrizione, sostiene l’Ansf, ha “impatto sul servizio” ma al contempo stimola “una pronta attuazione delle misure tecniche necessarie”.
“Lungo immobilismo”, “Poche risorse” – “Il mondo delle ferrovie ex-concesse (le locali, ndr) è stato caratterizzato da un lungo periodo di immobilismo, ma ora bisogna cominciare a lavorare”, ha detto il direttore dell’Agenzia, Amedeo Gargiulo, lo scorso gennaio durante un convegno. Aggiungendo: “Il decreto che ha portato sotto la giurisdizione dell’Ansf le ferrovie interconnesse non è uscito dall’uovo di Pasqua, ma è stato ampiamente annunciato. Alcune realtà hanno recepito da tempo il cambio di mentalità nella gestione della sicurezza, altre invece devono accelerare su questo fronte”. “Ma – aveva detto il presidente di Asstra, l’associazione del trasporto pubblico locale, in un incontro precedente all’incidente sulla Andria-Corato – da molto tempo non vediamo risorse stanziate per gli investimenti per la manutenzione straordinaria. Vanno fatti programmi che si portano avanti con continuità nel tempo. Per questo non si possono modificare le regole da un giorno all’altro perché così si perde clientela”. Eccoci al dunque, quindi: alle tempistiche di quanto deciso dieci anni fa.
La legge del 2007: “Adeguarsi entro 3 anni” – Il decreto legislativo del 2007 prevedeva all’articolo 27 che le ferrovie in concessione potessero “continuare ad operare” con le vecchie norme perché l’applicazione del decreto era “posticipata di tre anni, per permettere l’unificazione degli standard di sicurezza, dei regolamenti e delle procedure per il rilascio del certificato di sicurezza”. Da allora alla guida del ministero dei Trasporti si sono alternati Altero Matteoli, Corrado Passera, Maurizio Lupi e poi Graziano Delrio, dal febbraio 2014. E solo l’ultimo, nel 2015, aveva iniziato a sbloccare la situazione, con ormai 4 anni di ritardo sulla iniziale tabella di marcia. Ma l’iter – come aveva chiarito il ministro nei giorni seguenti la strage sulla Andria-Corato – si era incagliato nella Conferenza Stato-Regioni.
L’accelerazione dopo l’incidente – Dopo i morti, tutto si è velocizzato. Il decreto che portava le ferrovie locali sotto la giurisdizione Ansf è stato firmato il 10 agosto, il passaggio è effettivamente avvenuto il 30 settembre con la limitazione di velocità imposta a chi non rispetta gli standard di sicurezza dell’Agenzia e il Cipe ha stanziato lo scorso dicembre i primi 300 milioni per i lavori d’adeguamento che interesseranno alcuni tratti lombardi e pugliesi. Nel frattempo, Ansf ha stoppato il “lungo periodo di immobilismo” delle concessionarie: 12 incontri bilaterali, piani di adeguamento obbligatori da presentare (e presentati) entro marzo 2017 e ora in via di approvazione. “Allo stato attuale non sono state rilasciate certificazioni o autorizzazioni ai soggetti che opera sulle reti regionali”, specifica l’Agenzia ma l’iter è ormai avviato. Con sei anni e un disastro di troppo alle spalle.