Complice l'adesione di un nutrito gruppo di sindaci del centrosinistra allo schieramento per il "Sì" al referendum per l'autonomia della Lombardia, il tema del referendum consultivo del prossimo 22 ottobre è sempre più centrale nel dibattito politico lombardo. Cosa prevede la consultazione? Quali saranno le conseguenze della (probabile) vittoria del Sì?
“Volete voi che la Regione Lombardia, in considerazione della sua specialità, nel quadro dell’unità nazionale, intraprenda le iniziative istituzionali necessarie per richiedere allo Stato l’attribuzione di ulteriori forme e condizioni particolari di autonomia, con le relative risorse, ai sensi e per gli effetti di cui all’articolo 116, terzo comma, della Costituzione e con riferimento a ogni materia legislativa per cui tale procedimento sia ammesso in base all’articolo richiamato?”.
Questa la domanda a cui i cittadini lombardi dovranno dare una risposta il prossimo 22 ottobre, data scelta dalla giunta di Roberto Maroni per il referendum consultivo sull’autonomia. Un appuntamento che nessun lombardo potrà mai mancare vista la massiccia campagna di comunicazione avviata dal Pirellone: affissioni, spot radiofonici, sui mezzi pubblici, nelle stazioni. Il referendum sull’autonomia è onnipresente, persino su Spotify. E c’è da giurarci, il risultato sarà plebiscitario, anche perché stanno tutti salendo sul carro del vincitore annunciato.
SOSTEGNO BI (o TRI) PARTISAN
I sindaci di centrosinistra, nonostante l’iniziale contrarietà dichiarata dal Pd (che nel 2015, in consiglio regionale, aveva votato contro l’indizione del referendum), hanno fondato un comitato senza bandiere, capitanato da Giorgio Gori e Beppe Sala, per sostenere il “Sì”, con loro anche altri primi cittadini e i presidenti delle provincie amministrate dal centrosinistra. Favorevoli, loro fin da subito, i consiglieri regionali del Movimento 5 Stelle che votarono a favore del provvedimento a patto che venisse introdotto il voto elettronico (con l’intento di abbattere i costi) e che si restasse nell’alveo delle possibilità offerte dalla Costituzione. Oggi tutti parlano di “occasione per i lombardi”, con i dovuti distinguo.
Giorgio Gori e Beppe Sala ci tengono a sottolineare che quello dell’autonomia non sia un tema leghista e che, anzi, trovi il suo fondamento politico altrove. Detto questo rimarcano l’importanza di compiere passi verso l’attribuzione di maggiori competenze in due ambiti specifici: quello dell’ambiente “perché abbiamo problemi di inquinamento gravi, che meritano una attenzione particolare” e quello della ricerca scientifica e tecnologica: “Per avvicinarci maggiormente all’Europa e alle altri grandi aree industrializzate”. Due temi, non 25, sottolineano i promotori, cercando soprattutto di sfatare i falsi miti e le argomentazioni portate dal centrodestra: “Ciò che viene raccontato in queste settimane – ha spiegato Gori in occasione della presentazione del comitato dei sindaci per il Sì – è che il referendum si occuperebbe di denaro: trattenere 54 miliardi di euro, è arrivato a dire Maroni. Nel 2013 la sua campagna per le Regionali era sul trattenimento del 75% delle tasse, ma in questi quattro anni di quella promessa si è persa ogni traccia. Allo stesso modo è falso che il referendum preluda al fatto che la Lombardia diventi una Regione a Statuto speciale, peraltro fosse possibile noi saremmo per toglierle le Regioni a Statuto speciale”.
A COSA SERVE IL REFERENDUM?
In buona sostanza gli elettori lombardi verranno chiamati ad esprimere il loro consenso alla possibilità per la Regione di ottenere maggiori spazi d’azione rispetto alle competenze ordinarie, così come sancito dal terzo comma dell’articolo 116 della Costituzione, che riconosce alle Regioni a statuto ordinario la possibilità di accedere a condizioni differenziate di autonomia attraverso una procedura articolata e complessa.
La procedura istituzionale si avvia con un’iniziativa della Regione (non era necessario il referendum che, infatti, è solo consultivo), sentiti gli enti locali, e si conclude con una legge dello Stato approvata dalle Camere a maggioranza assoluta dei componenti, sulla base di un’intesa fra lo Stato e la Regione interessata.
Il referendum, negli intenti di chi lo ha proposto, impegna il Presidente di Regione Lombardia a istituire un Tavolo tecnico allo scopo di individuare il costo unitario e il costo complessivo dei servizi di fronte al pacchetto di materie negoziabili. Maroni si è impegnato anche a svolgere la trattativa successiva al referendum insieme al governatore del Veneto Luca Zaia, impegnato in un analogo percorso referendario, con il deliberato obiettivo di rafforzare l’impatto nella trattativa con il Governo.
Ma non solo. Maroni va oltre quanto previsto dalla Costituzione e si propone – come indicato in una mozione di recente approvazione – di “negoziare, contestualmente alle nuove competenze e alle risorse relative, anche l’autonomia fiscale così come riconosciuta alle Regioni a Statuto speciale, nel cui ambito sarebbe inserita la Lombardia all’indomani della conclusione positiva della trattativa con il Governo”.
QUALI SONO GLI AMBITI DI INTERVENTO?
Tralasciando i vaneggiamenti su una improbabile trattativa per fare della Lombardia una Regione a statuto speciale (il che significherebbe mettere mano alla Costituzione), gli spazi di manovra della trattativa sono da cercare negli articoli 116 e 117 della Costituzione. Gli ambiti che possono essere oggetto di trattativa vanno dall’organizzazione della giustizia di pace alle norme generali sull’istruzione, passando per la tutela dell’ambiente, dell’ecosistema e dei beni culturali. Oltre alle materie di legislazione concorrente, come i rapporti internazionali e con l’Unione europea delle Regioni; il commercio con l’estero; la tutela e sicurezza del lavoro; l’istruzione, salva l’autonomia delle istituzioni scolastiche e con esclusione della istruzione e della formazione professionale; le professioni; la ricerca scientifica e tecnologica e sostegno all’innovazione per i settori produttivi; la tutela della salute; l’alimentazione; l’ordinamento sportivo; la protezione civile; il governo del territorio; i porti e gli aeroporti civili; le grandi reti di trasporto e di navigazione; l’ordinamento della comunicazione; la produzione, il trasporto e la distribuzione nazionale dell’energia; la previdenza complementare e integrativa; il coordinamento della finanza pubblica e del sistema tributario; la valorizzazione dei beni culturali e ambientali e promozione e organizzazione di attività culturali; le casse di risparmio, le casse rurali, le aziende di credito a carattere regionale; gli enti di credito fondiario e agrario a carattere regionale. (Nelle materie di legislazione concorrente spetta alle Regioni la potestà legislativa, salvo che per la determinazione dei principi fondamentali, riservata alla legislazione dello Stato).
GLI ARGOMENTI A SOSTEGNO DEL REFERENDUM
La richiesta di maggiore autonomia, viene sostenuta dalla maggioranza di centrodestra, spiegando che in Lombardia vivono 10 milioni di abitanti e vi si produce circa un quarto del PIL del Paese a fronte di una spesa pubblica – compresa quella previdenziale – del 34,6 per cento in rapporto al PIL regionale. Una regione che ha un residuo fiscale di circa 56 miliardi di euro, è intensamente industrializzata e proprio per ciò è uno dei “Quattro motori per l’Europa” (insieme a Catalogna, BadenWürttemberg e Rhône-Alpes). Maroni fa leva proprio sul residuo fiscale, facendo credere che al termine della lunga contrattazione gran parte di quei soldi rimarranno sul territorio. Questo, a detta degli altri sostenitori del Sì sarebbe fumo negli occhi dell’elettorato, ribadendo la necessità di un “Sì diverso”, orientato a potenziare alcuni ambiti specifici, come – appunto – l’ambiente e la ricerca: “Che è bene vengano gestiti da Milano”.