La donna è stata cacciata dalla cooperativa dove lavorava con un contratto a tempo indeterminato. La sua colpa? Aver trasportato a bordo di un bus, sul quale viaggiava con alcuni malati di Alzheimer, il randagio. La struttura: "Ha messo in pericolo i pazienti"
Ha perso il lavoro per aver tolto un gattino dalla strada. È successo a Patrizia Antonino, infermiera di una cooperativa che si occupa di malati di Alzheimer, a Bari. La donna è stata licenziata per aver salvato il piccolo randagio e averlo preso a bordo del pullman sul quale viaggiava con alcuni pazienti. Il fatto risale al maggio scorso quando l’operatrice sanitaria ha trovato il piccolo animale abbandonato in una scatola. Intenerita, lo ha portato nella struttura, la casa di cura “Gocce di memoria” a Giovinazzo. Ma qui, la vice coordinatrice del centro le ha chiesto di cacciarlo: “Non sappiamo nulla della sua provenienza. Potrebbe essere ammalato”, la motivazione. “Non ho potuto fare altro che obbedire”, ha raccontato a tre mesi da quel giorno l’ operatrice socio sanitaria di 43 anni.
Poche ore dopo la donna si è metsa alla guida del bus per accompagnare a casa alcuni pazienti. Durante il viaggio, ha notato che l’animale era uscito dal suo giaciglio e stava attraversando la strada. Per evitare di investirlo e di essere accusata di omissione di soccorso di animali, l’infermiera è scesa per rimetterlo nella scatola. Ma a bordo in coro i malati di Alzheimer le hanno chiesto di salvarlo. Così la donna si è convince e lo ha portato con sé, assicurandosi che nessuno si avvicinasse al randagio. Tra i pazienti una signora la ha chiesto di poter tenere con sé il micio, e quando il pulmino si è fermato davanti alla sua abitazione, la nipote si è offerta di tenerlo in casa assieme agli altri gatti di cui si occupa già.
Il giorno dopo è arrivata la sospensione dal lavoro. Poi il licenziamento. “Dall’11 al 18 maggio la donna è in ferie – riporta il portale dabitonto.com – ma il 15 maggio riceve una lettera dalla cooperativa con la quale le si comunica una ‘contestazione disciplinare ex art. 7 legge 300/70’. La struttura, dando la sua versione dei fatti “vista la gravità del suo comportamento, il potenziale pericolo cagionato alla paziente”, ha deciso per la “sospensione cautelare dal servizio”, e la invita a fornire giustificazioni”. Giustificazioni che la donna avrebbe presentato due giorni dopo. Il 30 maggio, tuttavia, l’azienda le ha comunicato “il licenziamento senza preavviso, in applicazione delle vigenti previsioni normative di rango legislativo e contrattuale”.
“Assurdo, sono stata condannata per aver voluto fare un’opera buona”, avrebbe raccontato Antonino. Da allora l’infermiera, che non è sposata e che si occupa della madre ultraottantenne, non ha più un lavoro. Ma non ha intenzione di mollare e ha già impugnato la lettera di licenziamento: “Lotterò per avere quello che mi spetta – ha detto al portale pugliese – sono pronta ad andare fino in fondo a questa questione, davvero assurda. Se lo rifarei? Assolutamente sì”. E conclude: “La verità è che questa storia è solo un pretesto, perché è da due anni che il mio rapporto con la coordinatrice della struttura non è per nulla buono”.
Ma la storia ha fatto il giro del web. Su ‘Firmiamo.it‘, sito di petizioni online, è scattata la raccolta firme per aiutare la donna e mentre scriviamo. Le adesioni hanno superato la soglia dlale mille.”La signora non ha mancato a nessuna delle mansioni della sua professione, ma a quanto pare per la clinica avere a cuore le sorti di un essere vivente sarebbe motivo di licenziamento – si legge nella petizione – Diamo il nostro appoggio alla signora e chiediamo al giudice che ha accolto il suo ricorso di fare giustizia per Patrizia“.