Un guerriero non infierisce sul nemico che ha ucciso. Né sul corpo, né sull’immagine. A meno che non lo odi ossessivamente per le sconfitte e le disfatte che il morto gli ha inflitto da vivo, o non ne abbia ancora un sacro e viscerale terrore.
Ho pensato semplicemente questo quando ho saputo che allo Zen qualche vigliacco mafioso (i mafiosi sono vigliacchi e traditori, lo sapevate? lo racconta tutta la loro storia a chi la studia), qualche vigliacco mafioso, dicevo, aveva tagliato la testa al busto di Giovanni Falcone. Ho pensato che in questo gesto codardo c’è tutta la rabbia per il male che Falcone ha fatto al potere e alla cultura mafiosi. E c’è tutto il terrore per il male che il giudice può ancora continuare a fare a quella cultura e a quel potere.
Perché – questi mafiosi bisogna capirli, poveracci, si sentono perseguitati – Falcone a Cosa Nostra non dà proprio tregua. Pensate: insegna anche da morto alle nuove generazioni come combattere le prepotenze dei vigliacchi travestiti da uomini d’onore. Credevano di essersene liberati e invece gli spunta fuori da tutte le parti. Anche i sedicenni che nemmeno erano nati all’epoca di Capaci lo prendono ad esempio e lo scelgono come proprio mito, mettono alla parete la sua foto con Borsellino, se lo portano sulle magliette, ripetono le sue parole.
Gli uomini dalle teste vuote pensano di mettersi al livello dei grandi uomini tagliando le teste ai loro monumenti. Ma quelle teste si moltiplicano. Uno psichiatra cortesemente glielo spieghi.