Tanti anni fa, era il 1973, vidi un bel film che si proiettava per documentare gli ultimi mesi del Cile di Allende, dal titolo Cuando despierta el pueblo (Quando il popolo si risveglia). Era un film commovente che mostrava le manifestazioni di massa di operai, contadini e studenti a difesa del loro governo. Quegli stessi operai, contadini e studenti che sarebbero caduti a migliaia da lì a poco o costretti a un esilio interminabile da parte di Pinochet, istigato e sostenuto dagli Stati Uniti.

Quando un popolo si risveglia possono succedere varie cose. Ma in ultima analisi sono due gli esiti possibili: o vince il popolo, e si instaura un nuovo regime che si propone di difenderne gli interessi e le istanze, o vince la reazione e tornano al potere quelli che c’erano prima, che in genere non ci vanno tanto per il sottile e arrossano del sangue di coloro che avevano provato a ribellarsi i fiumi, come avvenne in quei giorni maledetti del golpe con il Rio Mapocho di Santiago del Cile.

“La rivoluzione non è un pranzo di gala”, diceva Mao Tse-tung, che di rivoluzioni se ne intendeva. E l’esperienza della rivoluzione sovietica, l’evento che maggiormente ha marcato il ventesimo secolo e di cui celebriamo quest’anno il centenario, dimostra che una società può attraversare un dualismo di potere per un periodo limitato, ma poi o prevale il vecchio regime, nel caso della Russia, il potere zarista ma anche la Duma, organo rappresentativo appena conquistato ma che era diventato il luogo dei poteri continuisti, o prevale la rivoluzione, cioè Lenin, i Soviet e il partito Bolscevico. Sappiamo che prevalsero i secondi, dando inizio a una storia lunga, complessa e controversa che certamente non è finita.

Che c’azzecca il Venezuela con tutto ciò? Molto. Non è certamente una rivoluzione fotogenica, a quanto pare, visto che la stampa italiana e internazionale fa a gara a diffondere notizie che puntano a denigrarla e che a volte sono bufale bell’e buone, su cui sono intervenuto più volte su questo blog. Ma è certamente una rivoluzione, anche se percorre strade nuove ed originali rispetto al passato.

Una rivoluzione iniziata da Chavez più di 20 anni fa e che ha avuto una serie di meriti, come rimettere al centro dell’azione politica concetti che sembravano dimenticati, come quello di patria, che da noi, forse a torto, fa ridere o evoca immagini polverose, ma ha molto senso in un Paese da sempre alla mercé di potenze esterne, politiche od economiche. Concetti, come quello di popolo, appunto, in un Paese nel quale, come in tutta l’America Latina, esistevano ed esistono ancora divari impressionanti tra chi ha moltissimo e chi non ha niente e dove nel 1989 migliaia di persone furono massacrate nel giro di pochi giorni da un governo unanimemente ritenuto democratico ma che applicava alla lettera i dettami delle famigerate istituzioni finanziarie internazionali, all’epoca ancora peggio di come sono oggi.

Ciò va detto per chiarire il quadro, prima di entrare nei dettagli della cronaca odierna, altrimenti si rischia di non capire niente. Certamente ci dispiace che dei nostri connazionali o comunque persone di italica stirpe dichiarino di passarsela molto male nel Venezuela odierno, anche se non tutti sono su posizioni ostinate di critica al governo attuale, tanto è vero che molti hanno firmato una lettera che tutti dovrebbero leggere, e che ha recato ai suoi sottoscrittori minacce di ogni tipo.

Certamente ci dispiace che esistano dei problemi nelle forniture di cibo e medicinali. Certamente ci dispiace che un leader politico come Leopoldo Lopez abbia passato un po’ di tempo in galera (ora gli sono stati accordati i domiciliari come mossa distensiva da parte del governo Maduro) anche se vorremmo capire meglio perché il leader in questione abbia istigato alla rivolta determinando disordini nei quali sono morte, nel 2014, 90 persone, in buona parte non certo ascrivibili all’opposizione.

Però dispiacersi non basta, occorre indicare delle soluzioni e operare costruttivamente per una via d’uscita pacifica dalla crisi in atto. L’esatto contrario, insomma, di quello che fanno governo italiano e Unione europea, sempre pronti a sposare acriticamente le posizioni dell’opposizione, sabotando l’azione di pace svolta da Papa Francesco e da altri. Occorre fare insomma ogni sforzo per rilanciare un dialogo costruttivo e appoggiare la soluzione della Costituente, un’ipotesi prevista dalla Costituzione bolivariana vigente e che potrebbe rappresentare, con sforzo unanime di tutte le forze sane del Paese, opposizione non (s)fascista compresa, per la pace e per un Venezuela nuovo che superi finalmente i suoi storici problemi di sottosviluppo, povertà, dipendenza dalla monocultura petrolifera e dal modello estrattivista, criminalità, corruzione, eccetera. Una soluzione avanzata e costruttiva che andrebbe a beneficio di tutto il popolo venezolano che da tempo si è risvegliato. E non intende certo riaddomentarsi.

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