Scaricare integralmente sui cittadini il costo dell’assistenza fiscale per far fronte alla complessa macchina amministrativa italiana. E’ questo il disegno del Tesoro per alleggerire i conti pubblici dai contributi versati a Caf in cambio della consulenza fiscale gratuita o a basso costo per i contribuenti. L’operazione è già partita da tempo, ma i primi effetti negativi per l’utenza potrebbero manifestarsi a ottobre quando finirà la tregua fra Caf e Inps sul tema Isee, la certificazione necessaria alle fasce più deboli della popolazione per l’accesso gratuito o agevolato ad alcuni servizi pubblici. Il motivo? Il numero complessivo di pratiche sforerà probabilmente il budget previsto nella pax temporanea di maggio fra la Consulta dei Caf e l’istituto previdenziale, riaprendo il braccio di ferro sui compensi dovuti dall’Inps ai centri di assistenza fiscale per l’Isee e i modelli Red. E, se non si troverà un nuovo accordo, saranno direttamente i cittadini a dover mettere mano al portafoglio per accedere ai servizi dei Caf.
I tagli ai patronati – La strategia del governo nei confronti dei centri di assistenza fiscale non è del resto una novità. Bensì una riedizione, su più ampia scala, di quanto già messo in atto con i patronati, che svolgono assistenza ai lavoratori per le pratiche pensionistiche: dallo scorso anno il governo prima ha tagliato il contributo pubblico al Fondo Patronati e poi ha dato facoltà ai patronati di richiedere all’utenza un contributo fino a 24 euro. Il risultato di questa operazione è che, per tenere in piedi la sua struttura, il patronato si vedrà costretto a far pagare i cittadini anche servizi di base come una richiesta di indennità di disoccupazione.
Stanziamenti ridotti – Dopo i patronati, ora tocca ai Caf. La questione si ripropone per i centri di assistenza fiscale che sono in buona parte in mano ai sindacati e alle associazioni dei datori di lavoro (circa 30 su 70 totali). Ma non solo a loro come dimostra il fatto che nella top five delle aziende del settore ben due sono società a capitale privato. In nome dell’austerity, nel 2012, il governo di Mario Monti aveva varato una prima spending review con cui si dava una sforbiciata ai compensi dei Caf per la compilazione dei 730. Con la legge di Bilancio 2016, il governo Renzi ha ridotto nuovamente gli stanziamenti.
Ma le pratiche online aumentano molto meno del previsto – Le cifre in gioco sono consistenti. Fino al 2015, i Caf ricevevano dallo Stato 317 milioni lordi (incluso il 22% di Iva) per offrire assistenza fiscale per le dichiarazioni dei redditi. L’anno successivo, con i tagli del governo Renzi, si è scesi a 276 milioni. La somma è destinata ad abbassarsi di 30 milioni nel 2017 e di altri 30 entro il 2019. Il problema è però che il lavoro ai Caf non accenna affatto a diminuire. Anzi: nel primo anno di precompilata i Caf hanno gestito 17,4 milioni di pratiche contro gli 1,4 milioni di precompilate validate online. Nella stagione dichiarativa 2016, la Consulta stima che i Caf abbiano trattato 17,5 milioni di dichiarazioni e che le pratiche online siano cresciute al massimo da 1,4 a 1,8 milioni. Lo scenario atteso per il 2017 non è molto diverso, con oltre 17 milioni di dichiarazioni a carico dei Caf e precompilate stimate tra 1,8 e 2,3 milioni. Ed è proprio in questi numeri che i conti del Tesoro non tornano: i tagli del ministero si basavano infatti sull’idea che il numero di precompilate fai da te via web sarebbe lievitato alleggerendo il lavoro dei Caf. La previsione è però risultata in parte errata, perché il numero di precompilate usate direttamente dai cittadini via internet è ancora esiguo e la stragrande maggioranza delle pratiche continua a passare per i Caf. Tuttavia, con il contributo pubblico “tagliato”, la mole di lavoro è imponente (l’88% dei 730 nell’ultima stagione dichiarativa) e a parità di struttura, i centri di assistenza fiscale non riescono a coprire le spese. Di conseguenza il costo del servizio di consulenza rischia di ricadere sui contribuenti che pagheranno il prezzo dell’incapacità politica di rendere realmente accessibile e facile a tutti la dichiarazione dei redditi.
Diecimila dipendenti e un indotto di 28mila persone – La coperta è corta e i Caf devono far quadrare i conti delle loro strutture. Non si tratta di una cosa da poco perché stiamo parlando di settanta aziende, in massima parte srl se non spa, che hanno diecimila impiegati a tempo indeterminato e ne impiegano altrettanti stagionalmente. Senza contare un indotto fatto da 28mila professionisti che si appoggiano ai Caf per gestire le loro pratiche, tutti commercialisti che riescono così a scaricare parte della responsabilità per eventuali errori. Con i tagli lineari della contribuzione pubblica e le previsioni errate sui benefici dell’online, il rischio è che il sistema imploda. Non a caso i Caf hanno impugnato il decreto ministeriale – attuativo dei tagli – della legge di Bilancio 2016 al Tar del Lazio con l’obiettivo di interessare successivamente la Corte costituzionale nell’intento di ottenere il riconoscimento della lesione del principio del legittimo affidamento.
Lo scontro Boeri-Poletti sui fondi per i modelli Isee e Red – Per il governo Gentiloni l’intera vicenda è una vera patata bollente. Da un lato l’esecutivo non riesce a semplificare gli adempimenti fiscali e a far decollare le precomplilate fai da te, dall’altro non ha più denaro in cassa per finanziare i Caf e aiutare così i cittadini ad avere le carte in regola. Un vero rompicapo che coinvolge anche l’Inps dal momento che anche l’istituto previdenziale paga ai Caf un contributo (82 milioni nel 2017) per la compilazione gratuita ai cittadini dei moduli Isee e Red. Non a caso a metà maggio la tensione sui fondi ai Caf è salita alle stelle e ha anche portato ad uno scontro diretto fra il ministro del Lavoro, Giuliano Poletti, e il presidente dell’Inps Tito Boeri che vorrebbe spostare sulla contabilità generale i costi sostenuti dall’ente previdenziale a favore dei Caf. In particolare l’Inps chiede che il contributo pubblico per la compilazione dei moduli Isee non ricada più sul suo bilancio, ma su quello di Comuni, Regioni e Asl, cioè coloro che effettivamente richiedono le dichiarazioni ai cittadini per l’accesso alle prestazioni pubbliche.
Gli enti locali non vogliono pagare. E il governo chiede di farlo ai cittadini – Gli enti locali, che hanno in buona parte difficoltà di bilancio, non hanno però alcuna intenzione di sobbarcarsi questa spesa. E il ministero, dal canto suo, non vuole aprire sul tema un braccio di ferro con gli amministratori locali in un delicato momento politico per il Paese. In attesa che l’esecutivo decida il da farsi, il presidente Boeri ha rilanciato proponendo al governo di affidare l’incarico della compilazione dell’Isee direttamente all’Inps. Manovra che dovrebbe portare a un risparmio da 12 milioni per l’ente previdenziale. A patto però che vengano assunte 1.400 persone. Tuttavia l’operazione non è affatto facile perché è necessario che le assunzioni vengano autorizzate con una norma ad hoc. Così, messo alle strette fra Inps e Caf, il governo ha messo sul piatto l’ipotesi di compartecipazione dei cittadini: ha chiesto cioè ai Caf di domandare un contributo a coloro che hanno un Isee sopra i 30mila euro, il 7% circa del totale, e nel caso non sia sufficiente di lavorare gratis. Proposta che, come è facile immaginare, non è stata accettata di buon grado dai centri di assistenza. Non resta che chiedersi a questo punto come finirà la partita. Qualche indizio potrebbe arrivare in autunno, dopo la stagione dichiarativa.