Il braccio destro di Matteo Renzi è indagato per rivelazione del segreto d’ufficio e favoreggiamento nell'inchiesta sulla fuga di notizie relative al caso. L'esponente Pd doveva rispondere alle domande del pm Mario Palazzi, responsabile del fascicolo, alla presenza del procuratore capo di Roma, Giuseppe Pignatone e all'aggiunto Paolo Ielo. Le accuse: i verbali di Luigi Marroni, quelli - poi in parte sfumati - di Filippo Vannoni, l'intercettazione tra l'ex premier e il padre Tiziano
Le accuse di Luigi Marroni, quelle – poi in parte sfumate – di Filippo Vannoni. E poi probabilmente quello stralcio di conversazione tra Matteo e Tiziano Renzi. Sono gli elementi a carico di Luca Lotti, indagato per rivelazione del segreto d’ufficio e favoreggiamento nell’indagine sulla fuga di notizie relative al caso Consip. Il ministro dello Sport è stato interrogato in tarda mattinata dai pm di Roma. Poco meno di un’ora d’interrogatorio è stata sufficiente all’ex sottosegretario per rispondere a tutte le domande, respingendo ancora una volta ogni accusa. Almeno stando a quello che dicono i suoi avvocati
Un’ora per rispondere a tutto – Il braccio destro di Matteo Renzi doveva rispondere alle domande del pm Mario Palazzi, responsabile del fascicolo, alla presenza del procuratore capo di Roma, Giuseppe Pignatone, e dell’aggiunto Paolo Ielo,. Dopo che già il 27 dicembre scorso si era presentato spontaneamente per rendere dichiarazioni spontanee alla procura di Roma, questa volta l’incontro tra indagato e inquirenti è stato fissato lontano dalle stanze di piazzale Clodio, negli uffici dei carabinieri di via in Selci. E alla fine sono gli avvocati di Lotti, Franco Coppi e Ester Molinaro, a spiegare che nel corso di un “sereno interrogatorio durato circa un’ora”, il ministro ha risposto “puntualmente a tutte le domande che gli sono state rivolte” e ha ribadito “con fermezza la sua estraneità ai fatti contestati”. Secondo l’ipotesi degli inquirenti l’allora Sottosegretario alla presidenza del Consiglio – la cui iscrizione è stata rivelata dal Fatto Quotidiano il 23 dicembre con un articolo di Marco Lillo – avrebbe rivelato all’allora amministratore delegato della centrale acquisti per la pubblica amministrazione Marroni, l’esistenza dell’inchiesta che poi ha portato in carcere il funzionario Marco Gasparri e l’imprenditore Alfredo Romeo per una tangente da 100mila euro. Con Lotti sono stati iscritti, in questo filone dell’inchiesta, il comandante generale dei carabinieri, Tullio Del Sette e il generale di brigata dell’Arma Emanuele Saltalamacchia e il presidente di Publiacqua Firenze Filippo Vannoni.
Le accuse di Marroni: “Mi disse delle cimici” – A far finire nei guai il ministro sono state le dichiarazioni proprio di Marroni che ha raccontato agli inquirenti come fu avvertito delle indagini in corso. Il 15 dicembre del 2016, infatti, il manager aveva fatto rimuovere grazie a un’apposita bonifica le microspie celate dai carabinieri del Noe nel suo ufficio. Quando quattro giorni dopo i pm di Napoli insieme ai carabinieri e ai finanzieri gli chiedono perché lo abbia fatto, Marroni risponde così: “Perché ho appreso in quattro differenti occasioni da Filippo Vannoni, dal generale Emanuele Saltalamacchia, dal presidente di Consip Luigi Ferrara e da Luca Lotti di essere intercettato”. Il top manager, che ha confermato tutto successivamente, è stato poi di fatto allontanato dal governo cui spetta la nomina dei vertici di Consip. E se per il principale accusatore dell’indagine di Consip era scattato il siluramento, al contrario il Senato aveva “blindato” la posizione dell’accusato Lotti, bocciando la mozione di sfiducia nei suoi confronti.
Il caso Vannoni: “Fu Lotti a dirmi dell’indagine” – A pesare sull’iscrizione nel registro degli indagati del ministro, però, c’è anche la testimonianza di Vannoni. O forse c’era. Il presidente di Publiacqua Firenze e amico di vecchia data dello stesso Renzi è finito recentemente indagato per favoreggiamento. Sentito come persona informata sui fatti dai pm di Napoli il 21 dicembre mette a verbale: “Ricordo di aver detto a Marroni che aveva il telefono sotto controllo, ma in questo momento non sono in grado di dire chi e in che termini mi abbia dato questa informazione; sicuramente, prima di parlare con il Marroni e dirgli che aveva il telefono sotto controllo, il Lotti mi ha sicuramente detto che c’era una indagine su Consip”. A quel punto i magistrati gli ricordano che come testimone ha l’obbligo di dire la verità e lui aggiunge: “Facendo mente locale vi dico che effettivamente fu Lotti a dirmi che c’era una indagine su Consip. Ricordo che il presidente Renzi mi diceva solo di ‘stare attento’ a Consip”.
Il ministro: “Gli avrei dato una testata”. E il manager ritratta – “A Vannoni avrei voluto dare una testata”, dirà Lotti il 27 dicembre quando si presenta dai pm la prima volta per negare ogni addebito dopo aver appreso si essere indagato. Dopo l’interrogatorio con i pm di Napoli, infatti, il presidente di Publiacqua Firenze fa tappa a Palazzo Chigi per parlare con lo stesso Lotti. Almeno secondo lo stesso ex sottosegretario. “Vannoni, imbarazzato e con modi concitati, mi ha informato di essere stato sentito da Woodcock a Napoli e di avergli riferito di aver ricevuto da me informazioni riguardo l’esistenza di indagini su Consip; alle mie rimostranze circa la falsità di quanto affermato, lui ha ammesso di aver mentito e quando ho chiesto il perché si è scusato in modo imbarazzato, ottenendo una mia reazione stizzita, tanto da avergli detto ‘non ti do una testata per il rispetto del luogo nel quale siamo, congedandolo”. Successivamente, però, il manager toscano è passato da testimone a indagato per favoreggiamento: davanti ai pm di Roma ha sfumato la versione dei precedenti interrogatori, ritrattando in parte alcune dichiarazioni su Lotti.
I Renzies: “La verità non l’hai detta a Luca” – Il nome del ministro, seppur solo quello di battesimo, nell’indagine sulla centrale della pubblica amministrazione viene evocato anche un’altra volta. Nel dettaglio si tratta del nome di battesimo. “Io non voglio essere preso in giro e tu devi dire la verità in quanto in passato la verità non l’hai detta a Luca e non farmi aggiungere altro. Devi dire se hai incontrato Romeo una o più volte e devi riferire tutto quello che vi siete detti”, dice il 2 marzo Renzi al padre Tiziano, in uno dei passaggi della telefonata intercettata pubblicata da Marco Lillo sul Fatto Quotidiano. Un riferimento – quello a “Luca” – su cui l’ex premier non ha mai fatto chiarezza nonostante i molteplici interventi pubblici sia sull’inchiesta Consip che sulla telefonata intercettata col padre.
L’altra costola di indagine – Oltre al fascicolo madre sulla fuga di notizie addebbitta a Lotti e co. esiste anche un altra costola dell’inchiesta – di cui la stampa italiana ha cominciato a parlare solo dopo gli arresti – e riguarda gli atti istruttori coperti da segreto di cui sono venuti a conoscenza organi di stampa. Per questa vicenda il Noe venne sollevato dalle indagini che furono affidate al Nucleo investigativo di Roma, e nel fascicolo sono finiti i nomi del pm di Napoli Henry John Woodcock, e la conduttrice di Chi l’ha visto Federica Sciarelli. Inoltre risponde di falso il capitano del Noe Gianpaolo Scafarto, che secondo gli inquirenti avrebbe alterato in più punti l’informativa sulla quale si basavano buona parte delle accuse a Tiziano Renzi, indagato per traffico di influenze; e il vice comandante del Nucleo operativo ecologico, Alessandro Sessa, è accusato di depistaggio per aver mentito nel corso di un’audizione testimoniale con i pm. E nell’ambito di questo filone che il vicedirettore del Fatto Quotidiano e le persone a lui vicine, compreso il padre 96enne, sono stati perquisiti.
L’interrogatorio di Di Giovanni – Due giorni fa nel primo filone è stato sentito come persona informata sui fatti (leggi) il capitano del Nucleo tributario della guardia di Finanza di Napoli, Sebastiano Di Giovanni. Completamente estraneo alle indagini, Di Giovanni è uno dei tre firmatari di un’informativa depositata il 9 gennaio scorso. Con lui hanno firmato l’atto il maggiore Roberto Costanzo (mai sfiorato dall’inchiesta) e il capitano Gianpaolo Scafarto del Noe. Per la procura di Roma solo i passaggi dell’informativa redatti da Scafarto sarebbero stati falsificati tanto che il capitano del Noe è indagato per falso. Non solo, i pm gli contestano anche la rivelazione di segreto d’ufficio per alcune mail (con i contenuti dell’inchiesta) inviate ad ex colleghi poi andati all’Aise, il servizio segreto estero. Sul contenuto dell’audizione di Di Giovanni c’è il massimo riserbo.