Giacciono in parlamento due proposte di modifica dell’art.38 della Costituzione sostanzialmente identiche, una a firma del presidente della Commissione affari costituzionali Andrea Mazziotti (Civici e innovatori) e altri 34 parlamentari, l’altra a firma del deputato Preziosi (Pd) e altri 12 deputati. Le due proposte vengono pubblicizzate dai promotori come strumenti di equità intergenerazionale e, allo scopo, contengono esplicitamente una frase che la richiama.
L’art.38, oggetto della modifica, sancisce il principio che ogni cittadino ha diritto a una forma di assistenza che gli garantisca il mantenimento e l’accesso alle prestazioni sociali e pertanto, al netto di un velatissimo accenno nel secondo comma dove si legge la parola “preveduti” riguarda soprattutto l’assistenza sociale.
Storicamente e purtroppo il sistema pensionistico italiano ha sempre configurato una perversa commistione tra assistenza e previdenza, da un lato assegnando all’Inps che non casualmente dovrebbe essere l’istituto della previdenza sociale il compito di gestire anche l’assistenza, senza l’obbligo di non avere commistione finanziaria tra le due gestioni, dall’altro coltivando nei cittadini e quindi nelle loro aspettative l’idea che la pensione sia una forma di assistenza da erogare secondo bisogno e non anche secondo “merito”, dove per merito si intendono i contributi versati durante la vita lavorativa.
Gli effetti della commistione sono visibili nel bilancio dell’Inps che potrebbe essere quello di un sano sistema previdenziale e che viceversa ha un buco gigantesco annualmente reiterato per finanziare l’assistenza (comprendendo qui anche le pensioni retributive sussidiate) e nella mentalità comune secondo la quale, ormai, qualsiasi pensione di importo significativo è uno spreco che lo Stato dovrebbe evitare.
Per inciso, nulla vieterebbe che lo Stato rastrellasse contributi dai lavoratori attivi e che poi erogasse pensioni livellate; uno Stato realmente socialista avrebbe questo tra i principi fondanti, salvo portarsi dietro i problemi che tutte le nazioni che hanno sperimentato il socialismo reale hanno affrontato e di fronte ai quali sono collassate e cioè, soprattutto, lo stato di inerzia generale che pervade la popolazione quando comprende che i differenti impegni e creatività non vengono riconosciuti e premiati.
Fino a oggi, tuttavia, anche se con un corollario d’interventi sempre finalizzati a livellare le prestazioni (blocco della perequazione e contributi di solidarietà per le pensioni più alte) il sistema previdenziale ha sempre funzionato riconoscendo che a retribuzioni e contribuzioni più elevate durante la vita lavorativa corrispondessero pensioni più elevate, cioè ragionando nell’ambito di un sistema previdenziale e non assistenziale e riferendosi (la stessa Consulta l’ha fatto in alcune sentenze) al secondo comma dell’art. 38 che parla di “esigenze di vita” le quali possono variare e di molto in funzione della storia di ciascuno, tant’è che la Consulta ha evidenziato come debba esserci continuità tra il tenore di vita prima e dopo il pensionamento indicando più volte la pensione come “retribuzione differita”.
Le due proposte di riforma costituzionale mirano ora a fare strame del poco di previdenziale che c’è nell’art. 38 e se la proposta Mazziotti lo fa in modo implicito e forse con conseguenze più vaste in quanto non limita l’intento re-distributivo intergenerazionale alle sole pensioni, lasciando aperta la porta a interventi su tutti i redditi, quella di Preziosi è assai esplicita, indicando che il sistema previdenziale dovrebbe (solo lui) “essere improntato ad assicurare… la solidarietà, l’equità tra le generazioni nonché la sostenibilità finanziaria”.
Tradotto, ciò significa mano libera ai legislatori per ridurre a piacimento le pensioni previdenziali anche già in essere a fronte di esigenze di bilancio, tra l’altro relegando ai soli pensionati il compito di pensare alle future generazioni e renderebbe in via definitiva totalmente assistenziale il sistema pensionistico tramite la predominanza pregiudiziale del principio di solidarietà (sempre per i soliti pensionati).
Le proposte non fanno invece alcun riferimento alla storia contributiva dei pensionati, che diverrebbe un fattore subordinato alla discrezione del legislatore. Questo, oltre a costituire un cambiamento radicale nell’impostazione della Repubblica stessa spostando il baricentro verso un quadro basato esclusivamente sull’eguaglianza, senza attenzione al merito, vanifica tutto il dibattito, aperto anni fa dal presidente dell’Inps Boeri, sul ricalcolo contributivo il quale, pur con tutti i limiti di fattibilità e di retroattività, ha alla sua radice un sano principio previdenziale. In sostanza sarebbe un passo malaccorto verso una società nella quale i meriti individuali conterebbero pressoché zero.
Non certo la migliore via per affrontare il problema delle future pensioni per le quali si dovrebbe invece puntare sullo sviluppo economico della nazione che non può prescindere da iniziativa, creatività, impegno, investimenti produttivi, tutte cose che le proposte di riforma non solo disconoscono, ma addirittura scoraggiano, perché senza un incentivo a crearsi un futuro individuale migliore il cittadino si siede e aspetta, mentre la società va a rotoli.