di Paolo Balduzzi (Fonte: lavoce.info)

Più autonomia su quali materie?

Il prossimo 22 ottobre si terranno due referendum identici in Lombardia e Veneto. Si tratta di un’operazione squisitamente politica, i cui confini spaziano tra la ricerca di un forte mandato popolare nei confronti del governo centrale e l’anticipo della campagna elettorale per le prossime elezioni regionali, almeno in Lombardia. In ogni caso, un’operazione inutile dal punto di vista procedurale e costituzionale e che anzi rischia di confondere i cittadini sulle reali possibilità che le regioni hanno di ottenere maggiore autonomia.

Il riferimento normativo è l’articolo 116 della Costituzione, che dopo la riforma del 2001 prevede al comma 3: “Ulteriori forme e condizioni particolari di autonomia, concernenti le materie di cui al terzo comma dell’articolo 117 e le materie indicate dal secondo comma del medesimo articolo alle lettere l), limitatamente all’organizzazione della giustizia di pace, n) e s), possono essere attribuite ad altre regioni, con legge dello Stato, su iniziativa della regione interessata, sentiti gli enti locali, nel rispetto dei principi di cui all’articolo 119. La legge è approvata dalle Camere a maggioranza assoluta dei componenti, sulla base di intesa fra lo Stato e la regione interessata”. Come si legge, non si fa menzione di alcun referendum. Anzi, la decisione finale è presa dal parlamento con maggioranza qualificata, quindi da un organo nazionale. È però evidente che una richiesta di questo tipo, se accompagnata da un forte mandato popolare, potrebbe aumentare le chance delle regioni di ottenere qualcosa.

Già: ma “qualcosa” cosa? I referendum non lo specificano: si fa riferimento a “ulteriori forme e condizioni particolari di autonomia”. Quindi? Maggiori competenze in tutte le materie possibili (cioè quelle concorrenti o alcune tra quelle di competenza statale)? O solo in alcune? E con quali risorse? La Costituzione non prevede un aumento dell’autonomia fiscale per finanziare le competenze trasferite, che quindi potrebbero esserlo solo da eventuali maggiori trasferimenti da parte del governo. Insomma, verrà chiesto ai cittadini se la regione dovrebbe gestire più attività, senza chiarire quali.

E se il testo del referendum veneto si limita al virgolettato sopra riportato, quello lombardo, pur ripetendo la stessa identica frase, la inserisce in un contesto che rende il testo più cauto ed elaborato ma in fin dei conti ancor meno chiaro. Insomma, autonomisti nei proclami ma prudenti nella forma, per paura dell’elettorato di sinistra (o della Corte costituzionale).

Certo, va anche detto che si tratta di una storia già vista. Nel lontano 2007, la giunta lombarda di centrodestra riuscì ad approvare, quasi all’unanimità, una legge per richiedere maggiori competenze, sempre in base all’art. 116; quella legge non ottenne alcun risultato, benché dal 2008 al governo ci fosse una maggioranza del tutto omogenea a quella che guidava la Lombardia. E che dire del Veneto, che ha alle spalle un tentativo di referendum sonoramente bocciato dalla Corte costituzionale? Il rischio quindi che il tutto si concluda con un nulla di fatto è reale. La riforma costituzionale bocciata nel dicembre 2016 – quella sì – avrebbe potuto facilitare il processo. Ma è ormai tardi e inutile riparlarne.

Quanto ci costa il giochino dei governatori?

Le stime dei costi dei referendum lombardo-veneti oscillano tra 30 e 50 milioni di euro. Non sono noccioline ma l’argomento sui costi del voto è sempre scivoloso. O accettiamo il fatto che non sempre il ricorso alle urne è una bella cosa – ma allora dobbiamo stabilire un criterio che sia il meno discrezionale possibile su quale voto sia degno e su quale non lo sia – oppure accettiamo che votare è sempre un bene. Però costa, e quindi che il voto sia tradizionale o elettronico, che sia o economico o richieda un sacco di soldi, facciamocene una ragione.

Qualcuno ha poi dubbi su come andrà a finire? Sembra ovvio che vincerà il “Sì”: perché mai non vorremmo avere più autonomia se non vengono indicati i costi per ottenerla? Tuttavia, la storia recente ci ricorda che consultazioni elettorali del tutto facoltative (Brexit, elezione anticipate nel Regno Unito, referendum costituzionale in Italia), ma pensate per aumentare il potere di chi governava, hanno dato un risultato certamente diverso dalle aspettative.

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