Il premier si arrende ad Alternativa Popolare,. E infatti il ministro degli Esteri è soddisfatto mentre Forza Italia rivendica la resa come una vittoria. Gasparri: "Questa legge è sbagliata non sarà approvata mai, neanche in autunno". Cei: "Vittoria dei prepotenti"
Addio allo Ius soli. Almeno per il momento. Il premier Paolo Gentiloni è stato costretto a gettare la spugna. E il disegno di legge che riconosce la cittadinanza a chi è nato su suolo italiano da genitori stranieri finisce fuori dalle priorità del governo, che non ha chiesto la fiducia sul provvedimento contrariamente a quanto fatto con le Banche Venete e i vaccini. E ora rimanda tutto all’autunno. “Tenendo conto delle scadenze non rinviabili in calendario al Senato e delle difficoltà emerse in alcuni settori della maggioranza non ritengo ci siano le condizioni per approvare il ddl sulla cittadinanza ai minori stranieri nati in Italia prima della pausa estiva. Si tratta comunque di una legge giusta. L’impegno mio personale e del governo per approvarla in autunno rimane”, è l’annuncio del presidente del consiglio.
Una resa di fatto ad Alternativa Popolare, cioè gli alfaniani. E infatti il capo degli alfaniani, cioè Angelino Alfano, è soddisfatto: “Il presidente del Consiglio ha gestito la vicenda dello ius soli con realismo, buonsenso e rispetto per chi sostiene il suo Governo. Apprezziamo molto. Al tempo stesso, ribadiamo che su questo provvedimento abbiamo già detto Sì alla Camera e lo stesso faremo al Senato dove una discussione più serena permetterà di migliorare il testo, senza che il dibattito si mescoli alla faticosa gestione dell’emergenza di questi giorni”, esulta il ministro degli Esteri, che non aveva alcuna intenzione di votare quel ddl. “Se c’è la fiducia, lascio”, era stata la dichiarazione di Enrico Costa, ministro alfaniano degli Affari regionali, che aveva trasformato la discussione sulla legge di cittadinanza in un serio rischio per la maggioranza.
Parole che erano andate a segno se è vero che ieri l’azionista principale del governo, e cioè Matteo Renzi, aveva fatto filtrare il via libera alla resa dalle colonne di Repubblica. “Se le cose stanno così, ci rimettiamo a Gentiloni, decida lui sulla fiducia, non passerò certo io per quello che porta il governo alla crisi”, è il ragionamento del numero uno del Pd. Che non intende certo prendersi la responsabilità di una crisi di governo – di sicuro non pubblicamente – ma al contempo qualifica lo Ius soli come una priorità del suo partito.
E infatti dalle dichiarazioni di Gentiloni passano meno di 5 minuti che il numero due del Pd, cioè Maurizio Martina, detta alle agenzie una nota che sembra la copia sputata delle confidenze renziane fatte a Repubblica. “Sullo ius soli il Pd seguirà l’indicazione proposta dalle valutazioni del presidente Gentiloni. Come sempre detto, siamo al suo fianco. La legge per la nuova cittadinanza rimane per noi un obiettivo importante“, dice il ministro dell’Agricoltura. Come dire: il Pd (cioè Renzi) lo Ius soli lo vuole, eccome se lo vuole, è Gentiloni che nonostante tutto l’appoggio del partito non riesce a farlo approvare. Ciò nonostante il partito non può non sostenere le decisioni del governo. Prevedibili i commenti dalle altre parti politiche. Alla sinistra del Pd, Roberto Speranza di Mdp definisce “ogni arretramento o rinvio dello Ius soli un errore. Soprattutto in questo momento. Nessun cedimento culturale alla propaganda della destra“. E infatti Matteo Salvini definisce lo stop di Gentiloni come una “vittoria della Lega mentre anche Forza Italia gongolca con Maurizio Gasparri che promette:” Questa legge non sarà approvata mai, neanche in autunno”. E quest’ultima profezia, in effetti, è altamente probabile che si avveri, mentre anche la Cei interviene sulla vicenda. “Il rinvio dello Ius soli è una vittoria dei prepotenti sui piccoli che non hanno voce, una vittoria dell’indecisione, una vittoria dell’incapacità di risolvere i problemi”, ha detto monsignor Giancarlo Perego, direttore di Migrantes e arcivescovo di Ferrara-Comacchio. Il diritto in questione, sottolinea il vescovo, “non è un premio ma uno strumento fondamentale di integrazione”,