Per due anni non prende lo stipendio perché finisce nelle tasche della sua omonima che abita a trecento chilometri di distanza. Sembra assurdo ma è accaduto a Isabella Latini, 35enne, insegnante precaria a Senigallia, in provincia di Ancona. Una storia di inefficienza della burocrazia che ha come vittima una cittadina costretta ad appellarsi all’Unione nazionale consumatori per vedersi riconosciuto un suo diritto. Una battaglia ancora in corso perché Isabella quei 15 mila euro, l’ammontare degli emolumenti mai pagati, non li ha ancora sul suo conto corrente ed è costretta a farsi dare una mano dalla famiglia per vivere.
Tutto inizia nell’anno scolastico 2015/2016. La giovane viene chiamata da alcuni istituti della città per effettuare delle sostituzioni a tempo determinato. La maestra Latini si presenta a scuola puntualmente felice di avere un contratto con il ministero dell’Istruzione, contenta di lavorare. Passano i primi mesi di attività e Isabella non vede un soldo. Come ogni docente chiede informazioni agli uffici competenti del ministero ma la rassicurano sul fatto che i pagamenti in ritardo per i supplenti sono normali. Arriva l’estate e la maestra inizia la trafila di ogni precario per registrarsi tra i disoccupati.
Quando vede sul conto corrente qualche centinaio di euro pensa che siano i soldi che gli competono per il lavoro svolto ma non è così. Lo capisce a settembre quando inizia l’anno scolastico 2016/2017. “A quel punto l’insegnante si è rivolta al ministero dell’Istruzione che non ha avvistato alcun difetto nella registrazione del suo contratto. Ad accorgersi del problema è stata una solerte impiegata della scuola dove lavorava Isabella: il suo stipendio era stato accreditato ad un’altra insegnate precaria, omonima, ma residente a Roma con altro conto corrente e chiaramente un diverso codice fiscale”, spiega l’avvocato Corrado Canafoglia che sta seguendo il caso per conto dell’associazione nazionale consumatori delle Marche.
Da qui la via crucis della maestra per cercare di capire come poteva essere accaduto un simile errore ma soprattutto come recuperare quella cifra non indifferente per una giovane precaria. “La nostra associata – spiega Canafoglia – prima di arrivare ai nostri sportelli ha provato a sentire direttamente il ministero delle Finanze che si è accorto del problema ma le hanno risposto di prendere contatto direttamente con l’altra Isabella Latini”.
Tentativo vano. La 35enne ha chiamato l’insegnante di Roma ma non è riuscita ad ottenere un centesimo di euro. A quel punto esasperata dalla situazione Latini si è rivolta all’associazione nazionale consumatori: “Abbiamo diffidato il ministero delle Finanze a pagare, siamo in attesa della risposta. Tale condotta sta creando gravi danni all’insegnate senigalliese, costretta ad erodere i propri risparmi ed a ricorrere all’aiuto di familiari per il proprio sostentamento. L’aspetto tragico – comico di tale vicenda è che tra i soggetti del ministero nostri interlocutori c’è NoiPa, il sito telematico che dovrebbe accelerare la soluzione dei problemi che i dipendenti pubblici hanno con la pubblica amministrazione”. Un rebus non risolto: “Questo tira e molla tra uffici sta andando ancora avanti. Il problema è che la ragioneria dello Stato ha associato i dati bancari e fiscali della marchigiana all’omonima romana. Non si capisce come possa essere accaduto intanto fino a ieri abbiamo ricevuto risposte vaghe dalla ragioneria di Stato territoriale che ha il compito di pagare gli emolumenti. Ora si stanno rimpallando il problema tra uffici ma Isabella non ha ancora visto un centesimo”.