Gli “zombie di Romero” diventarono presto, con la loro evidente critica al sistema socio-culturale dominante, una metafora cinematografica inarrivabile che rivoluzionò l’uso dell’horror fino ad allora imbalsamato tra le Mummie, i Dracula, e gli Uomini Lupo delle major e poi della più artigianale Hammer
“Stay scared” George. Il padre degli zombie, George Romero, leggenda dell’horror, colui che inventò dal nulla un nuovo genere, è morto in un ospedale di Toronto per un cancro ai polmoni. Aveva 77 anni e nel 1968 battè il ciak fondativo degli zombie movie con una pellicola low budget che fece scalpore come La notte dei morti viventi. Girato a Pittsburgh in bianco e nero con un budget di 114mila dollari, Night of the Living Dead ha incassato 30 milioni di dollari ed è diventato un cult.
Il film racconta di un gruppo di persone intrappolato in una casa colonica della Pennsylvania che finisce ostaggio di una lenta orda di morti viventi che li accerchia. Il manipolo si barrica e tra di loro prende il comando un afroamericano, ma la voracità degli zombie non perdona, fino all’arrivo di quelli che potrebbero essere “i nostri”, un gruppo di tizi armati fino ai denti che compie più di un errore fatale. “La cosa incredibile è che quando feci La notte dei morti viventi non avevo pensato di fare un film sugli zombie”, ci aveva spiegato Romero non più di un anno fa al Lucca Film Festival (leggi l’intervista). “Volevo semplicemente mostrare che sebbene fuori succedesse qualcosa di straordinario, le persone rimangono attaccate alle loro beghe e alle loro meschinità e non si accorgono di cosa sta accadendo al di là del loro contesto”. Già, perché gli “zombie di Romero” diventarono presto, con la loro evidente critica al sistema socio-culturale dominante, apice e culmine il titolo Zombie/Dawn of the dead (1979) dove ci sono i morti viventi che vagano dentro al centro commerciale, una metafora cinematografica inarrivabile che rivoluzionò l’uso dell’horror fino ad allora imbalsamato tra le Mummie, i Dracula, e gli Uomini Lupo delle major e poi della più artigianale Hammer.
Sad to hear my favorite collaborator–and good old friend–George Romero has died. George, there will never be another like you.
— Stephen King (@StephenKing) July 16, 2017
The world has lost a master. Thank you for the inspiration. You changed my life with your art. You will be missed. #georgeromero #dotd
— Zack Snyder (@ZackSnyder) July 17, 2017
Romero era nato nel 1940 nel Bronx. Fin da ragazzino amava affittare vecchi film in pellicola per poi proiettarseli e vederseli in autonomia. Una volta laureatosi iniziò a girare spot pubblicitari e cortometraggi. Con fare pioneristico, ed assieme ad un gruppo di amici fondò la Image Ten Productions e produsse il suo film d’esordio. La formula mista tra sceneggiatori e produttori si tradusse successivamente in un groviglio legale e artistico per gestire diritti e director’s cut de La notte dei morti viventi. Romero però continuò la sua carriera di regista senza troppi entusiasmi della critica, e senza grande interesse di pubblico, con Season of the witch (1972), e con La città verrà distrutta all’alba/The Crazies (1973). Anche in questo film c’è un altro manipolo di resistenti agli effetti di una bomba tossica sganciata inavvertitamente da un bombardiere americano precipitato tra le case della Pennsylvania, e la solerte ipocrisia istituzionale che nega ogni errore. Nel 1978 è invece la volta di un gioiello camp assoluto: Martin/Wampyr. Una rivisitazione dell’archetipo del vampiro dove vengono abbandonati aglio e paletti di frassino per una collocazione “giovanilistica” del protagonista mostruoso. Romero ha sempre amato questo film, girato ancora una volta con un budget limitatissimo e con una poetica indipendente, divertita e tragica allo stesso tempo.
Il 1978 è anche l’anno di Dawn of the dead/Zombi. La summa del zombie movie romeriano. L’apocalisse in terra dei morti che riemergono dalle tombe e invadono il mondo. Stavolta a fuggire da Philadelphia sono due poliziotti (ce n’è sempre uno afroamericano, che ancora una volta diventerà leader del gruppo), e due giornalisti della tv, tra cui una donna, che prestò si scoprirà incinta. I quattro fuggono dalla città in elicottero ma finiscono il carburante e atterrano sul tetto di quello che diventerà lo “shopping mall” più celebre della storia del cinema. I quattro prima sgomberano l’intero enorme centro commerciale delle orde di zombie poi iniziano a vivere con agi e beni dei negozi chiusi, fino a quando l’incursione di un gruppo di motociclisti alla Hells Angels (tra loro il fido Tom Savini, creatore degli effetti speciali di molti film romeriani) distruggerà ogni equilibrio tra i quattro e ogni ipotesi di vita futura. Capolavoro horror dal forte impianto critico della società consumistica e individualista, Dawn of the dead venne girato spesso all’alba per non disturbare la normale attività del centro commerciale (tra i primi ad andare in funzione negli Usa ndr), e guadagnò 55 milioni di dollari a fronte di un milione di spesa.
Romero però continua cocciutamente la sua strada di autore indipendente e sforna un altro titolo misconosciuto ma potentissimo e articolato (dura 145 minuti) come Knightriders (1981), dove si seguono le gesta di un gruppo di motociclisti/circensi sempre dediti a pericolosi spettacoli in costume, modello giullari medioevali, e alle prese con una gerarchia all’interno del gruppo che li porterà al confronto e al disfacimento al cospetto delle tentazioni del dio denaro sotto forma di avidi impresari.
Nel 1982 è la volta di Creepshow, altro film cult ad episodi, con script di Stephen King (al suo esordio), imprescindibile, bizzarro e folle omaggio ai fumetti horror anni cinquanta della Comics EC. Nel 1985 conclude la trilogia zombie con Day of the Dead, senza entusiasmare troppo nemmeno i propri fan più accaniti. Poi ancora negli anni ottanta e novanta si susseguono Monkey Shines, Due occhi diabolici (in collaborazione con Dario Argento), La metà oscura, Bruiser: tentativi di un cinema horror più tradizionale, dove l’intimismo dei protagonisti ruba forse troppo spazio alla visionarietà apocalittica anni settanta a cui il regista newyorchese ci aveva abituati.
Quando però nel 2004 Romero è costretto a sorbirsi il remake di Dawn of the dead diretto da Zack Snyder con i protagonisti del film seduti al bar del centro commerciale come fossero turisti e gli zombie fuori a correre come centometristi, ecco il guizzo del grande autore. Il ritorno dei suoi zombie nel 2005 con Land of the dead, che si va ad aggiungere alla trilogia che pareva conclusa vent’anni prima e che ne apre un’altra composta da Diary of the Dead (2007) and Survival of the Dead (2009), è d’obbligo. Nulla di trascendentale, ma il Romero che riaggiorna il suo file più prezioso è comunque una lezione di cinema politico che allarga il suo sguardo critico ai mali della globalizzazione, al terrorismo e alla sopraffazione dei più miserabili della terra. Il pubblico però non va più in sala per i suoi film, ma preferisce vivere nel mito e nella leggenda, ripete a memoria le sequenze di Dawn of the dead o de La notte dei morti viventi. Venerato George ora ti aspettiamo riemergere dalla tomba. Questione di ore. Sarai l’unico zombie a cui non spappoleremo il cranio. sono certi: anche lui, come i suoi personaggi, è destinato a tornare.