Da giorni ormai la cenere e il rumore degli elicotteri accompagnano la vita di chi abita alle pendici del Vesuvio. Tutto questo non ha nulla a che fare con il caldo e l’aridità. La puzza di bruciato graffia la gola, la polvere passa attraverso i vestiti, scurisce la pelle, brucia dentro, fa rabbia. Questo rimarrà insieme alla cenere: la rabbia di una popolazione a cui è stato sottratto un pezzo della propria identità culturale, della propria storia, il diritto alla bellezza e a un territorio sicuro.

A Torre del Greco le fiamme lambiscono le abitazioni, centinaia le persone evacuate. In alcuni punti della città, i mezzi dei Vigili del Fuoco non riescono ad arrivare ai roghi, così i cittadini si organizzano in squadre di solidarietà per domare le fiamme con mezzi di fortuna. Non c’è angolo da cui non siano visibili roghi e colonne di fumo: è una città assediata dalle fiamme.

“Quando qualcuno decide che può toglierti anche l’aria, significa che è finita”, mi dice Vittorio mentre ritorno con lui alla macchina. Abbiamo addosso l’odore acre dell’incendio e parliamo di quello che sta succedendo, proviamo a trovare un movente che possa spiegare lo scempio a cui assistiamo.




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