Un assassino feroce, un’inchiesta inedita per quantità e qualità di accertamenti svolti dagli investigatori di polizia e carabinieri, un processo dove la prova scientifica è diventata la prova regina. Per l’accusa, che basa la sua ipotesi su atti raccolti in 60 faldoni, il carnefice di Yara Gambirasio – la 13enne di Brembate scomparsa una sera di novembre e ritrovata cadavere tre mesi dopo – ha un nome, ma Massimo Giuseppe Bossetti – identificato con il Dna come Ignoto 1 – continua a dichiararsi innocente, anche oggi che rischia di veder confermata dai giudici della Corte d’assise d’appello di Brescia la condanna all’ergastolo già pronunciata in primo grado a Bergamo.
Ecco le tappe della vicenda
26 novembre 2010 – Sono le 18.40 circa quando la ragazzina esce dalla palestra di Brembate di Sopra, piccolo comune in provincia di Bergamo, e di lei si perdono le tracce. La giovane ginnasta va nel centro sportivo di via Locatelli per consegnare uno stereo, poi il buio la inghiotte lungo i 700 metri che la separano da casa. Alle 18.55 il suo cellulare Lg nero viene spento per sempre. Le ricerche non trascurano nessuna pista: dall’allontanamento volontario al rapimento.
5 dicembre 2010 – Mohamed Fikri, operaio di un cantiere edile di Mapello dove conducono i cani molecolari usati per le ricerche, viene fermato su una nave diretta in Marocco. Pochi giorni dopo le accuse vacillano: alcune parole in arabo mal tradotte e un biglietto per Tangeri già in tasca da tempo fanno cadere l’ipotesi di una fuga. Il 7 dicembre esce dal carcere, non è lui l’assassino. La sua posizione è stata poi definitivamente archiviata.
26 febbraio 2011 – Il corpo della Yara viene trovato da un appassionato di aeromodellismo in un campo incolto a Chignolo d’Isola, a pochi chilometri da casa. Dove i tanti volontari e soccorritori erano stati durante i giorni in cui si sperava di ritrovare la bambina viva. L’autopsia accerta le ferite alla testa, le coltellate alla schiena, al collo e ai polsi. Nessun colpo mortale: quando chi l’ha colpita le volta le spalle lei è ancora viva. Il decesso, dopo una lunga agonia, arriva quando alle ferite si aggiunge il freddo. L’anatomopatologa Cristina Cattaneo, sentita dalla Corte d’Assise di Bergamo, aveva spiegato ai giudici tutti gli accertamenti eseguiti per arrivare a questa conclusione.