Mi sono imbattuto nei libri di Christoph Hein molti anni fa, in una libreria dell’usato, uno di quei luoghi senza tempo che ricordano, per certi versi, le librerie antiquarie di Marsiglia e di Magdeburgo dove Konstantin, il protagonista dell’ultimo romanzo dell’autore slesiano, lavora. In quel periodo stavo imbastendo un romanzo sulla Repubblica democratica tedesca e quelle prime edizioni de Il suonatore di tango, La fine di Horn e L’amico estraneo mi sembrarono adatte come materiale di supporto alla costruzione della mia traccia narrativa.

Mai scelta fu più azzeccata: da allora ho letto con attenzione, tutto ciò che è stato pubblicato. Non credevo che, dopo Willenbrock, Hein potesse scrivere qualcosa di più completo, reale e incisivo. Invece Il figlio della fortuna (Edizioni E/O, come i suoi precedenti lavori; traduzione di Monica Pesetti) è, a mio avviso, un capolavoro. Sia per la scelta stilistica, totalmente assente di elementi lirici e d’effetto, sia per l’idea stessa del romanzo: raccontare la storia di una nazione dai suoi margini (differenza sostanziale dalle abusate periferie).

Konstantin Boggosch nasce nel 1945, in una Germania divisa. Da quando è piccolo, vive con il peso della figura del padre, mai conosciuto, criminale di guerra nazista, processato e impiccato in Polonia, che gli impedisce un’affermazione sociale nella nascente Repubblica democratica. Konstantin fa di tutto per cancellare le tracce di questo genitore-fantasma. Scappa a Marsiglia per arruolarsi nella legione straniera, lavora come traduttore, diventa amico e mascotte di un gruppo di antifascisti francesi, torna in Germania dell’Est mentre viene costruito il Muro.

Per tentare disperatamente di vivere la propria esistenza come cittadino libero, estraneo alle atrocità commesse da uno sconosciuto, studia, si impegna. Gli vengono chiuse le porte in faccia per un’affermazione nell’accademia cinematografica nazionale, messi i bastoni tra le ruote quando si propone come preside nella scuola dove insegna. E questa situazione non cambia nemmeno dopo la riunificazione. Già, la Wende accelera lo sgretolamento del blocco comunista, ma la riunificazione tedesca deve affrontare cambiamenti drastici, che influiscono sugli uomini come Konstantin, ancora una volta messo da parte dai nuovi arrivisti avidi di potere e denaro.

Konstantin Boggosch è un Pip dickensiano, con passaporto tedesco, che da adulto accetta le convenzioni sociali senza mai esserlo, convenzionale. È un Huckleberry Finn che fa dell’Elba il proprio Mississipi. Il figlio della fortuna è uno straordinario romanzo di formazione, il manifesto dell’altruismo ateo. È metafora di uno spirito nazionale, dove il nichilismo dei perdenti si trasforma in forza morale e il capitalismo imperante assorbe le vecchie paure dello Stato operaio, portando avanti lo stesso obiettivo: conformismo über alles.

Chiunque volesse capire qualcosa della Germania contemporanea, e del mondo in cui viviamo, potrebbe partire da questo romanzo. Un consiglio che mi permetto di dare anche ai più giovani: leggete Christoph Hein, forse vi darà la forza di ribellarvi. Con intelligenza.

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