C’è anche il fratello di un cooperante ucciso in Afghanistan tra le 34 persone arrestate nell’ultima operazione antimafia della polizia e della Guardia di Finanza di Palermo, che hanno azzerato il clan di Brancaccio. Nel giorno del venticinquesimo anniversario della strage di via d’Amelio la procura ha ottenuto dal gip l’esecuzione di 34 misure cautelari tra la Sicilia, la Toscana, il Lazio, la Puglia, l’Emilia Romagna e la Liguria. Sequestrate anche numerose aziende, per un valore complessivo di circa 60 milioni di euro.
Le indagini hanno consentito di fare luce su episodi di minacce, danneggiamento, estorsione, furto e detenzione illegale di armi da parte di esponenti della cosca di Brancaccio e di ricostruire l’organigramma delle famiglie mafiose che appartengono al mandamento, definendo ruoli e competenze di ciascuno e individuando i capi. L’inchiesta ha svelato il controllo, da parte della mafia, di un gruppo imprenditoriale che opera in diverse regioni, dalla Sicilia alla Toscana.
Tra gli arrestati c’è anche Pietro Tagliavia, capo del mandamento mafioso di Brancaccio e della famiglia di Corso dei Mille, attualmente ai domiciliari da dove continuava a governare la cosca. Quella dei Tagliavia è una famiglia mafiosa coinvolta anche nelle stragi del ’92 e del ’93.
Secondo le indagini, il suo braccio destro – anche lui finito in manette – era Giuseppe Lo Porto, fratello di Giovanni, l’operatore umanitario sequestrato da Al Qaeda nel 2012 e assassinato tre anni da un drone dopo durante un’operazione antiterrorismo degli Usa. Dopo l’uccisione del fratello, Giovanni Lo Porto aveva protestato per avere la salma del cooperante in città. Più volte aveva convocato conferenze stampa per chiedere la verità sulla morte del fratello. Nel frattempo, come sostengono gli inquirenti, avrebbe organizzato la raccolta di denaro per le famiglie dei detenuti, con i soldi provenienti dalle estorsioni.