Lo psicoanalista di moda ha colpito di nuovo.
Dal 17 luglio la star milanese strizzacervelli, già diplomata in agrotecnia, Massimo Recalcati si esibisce nell’apprezzata performance di intorbidare le acque sul tema dell’inarrestabile declino della leadership di Matteo Renzi, trasformandola in una temperie psichica collettiva che scorre sulla filiera odio-amore. Ricorrente must meneghino, che già gli spin-doctors di Silvio Berlusconi avevano utilizzato secondo una mera logica di posizionamento propagandistico nel mercato politico, proponendo l’alternativa a tutto vantaggio dell’ex Cavaliere tra “chi ama e chi odia”.
Dunque un remake. Molto utile per depistare il fatto lampante che Renzi fu scelto dalla sua parte in quanto presunto “abile comunicatore” per contrastare in presa diretta la chiacchiera cinquestelle e – così facendo – assicurare la sopravvivenza dei colleghi piddini fancazzisti, a rischio di non rielezione negli organigrammi pubblici. Scelta che ha funzionato alle elezioni europee e che poi è andata – via, via – dimostrandosi sbagliata, nel momento in cui il parolaio di Rignano si rivelava un bulimico di potere affetto da sindrome di onnipotenza, che con la sua petulanza suscitava antipatia in strati crescenti del corpo elettorale; mentre le ricette che riproponeva (una ribollita del mito dell’uomo solo al comando con il blairismo della sinistra che rifà la destra con vent’anni di ritardo) indignavano sempre più l’elettorato presunto captive, orientandolo alla secessione. Insomma, un re Mida alla rovescia, circondato da una Corte dei Miracoli, che quanto tocca diventa ferraccio.
Ma ecco che arriva il Recalcati, in pieno conflitto di interessi (coordina la scuola di formazione dei politici renziani in erba ed è abituale guest star delle Leopolde), a spiegarci che quello verso Renzi è “l’odio per chi osa introdurre cambiamenti”. Dunque, davanti all’eterogeneo Renzi, la Sinistra sarebbe ossessionata dal “fantasma dell’usurpazione”. Da cui il rito tribale, ad alta valenza di transfert, dell’esecrazione come uccisione simbolica; nella difficoltà di “fare il lutto della propria fine storica”.
Operazione altamente acrobatica che si decodifica meglio tenendo conto della guida intellettuale a cui il Recalcati si riferisce e del milieu in cui opera: la lezione parigina di Jacques Lacan, costruita attraverso l’uso ermeneutico dell’astruseria e fondativa di una vera e propria setta di adepti; l’ambiente milanese, da decenni altamente permeabile all’opera di questi manipolatori di successo. Con il ben noto antesignano Armando Verdiglione, apostolo lacanista ed editore di fumisterie varie con il marchio “Spirali”; finito poi nelle patrie galere per estorsione, circonvenzione di incapace e – infine – associazione a delinquere.
Sarebbe interessante approfondire il perché all’ombra della Madonnina si sia così propensi a bersi queste panzane ancora di più che nel resto d’Italia, che inanellano semplificazioni (dalla governabilità craxiana alla rivoluzione liberale berlusconiana) ed esoterico (tipo il radicamento a frotte di magliari della psiche: maghi, sofrologhe, guaritori, lettrici della mano e lacaniani illusionisti). Nel caso del propagandista renziano, gente che maneggia alcune tecnologie linguistiche di stampo imbonitorio con marchio d’origine internazionale, giocate spesso sulla diade cibo-libidine. Come si leggeva in un recente saggio del solito Recalcati (che mi astenni dal recensire), in cui il Nostro si impancava a terapeuta della bulimia intesa come nostalgia del capezzolo materno “nella pulsione orale ciò che la bocca cerca o ricerca senza mai trovare è il fantasma del seno, il fantasma dell’oggetto perduto” (sic.).
Renzi salvato dallo psicanalista di fiducia trasformandosi in capezzolo?