Sembrerebbe azzardato pensare che Renzi possa essere diventato in un baleno il killer (politico) seriale di tutti i più recenti primi ministri italiani. Benché la caduta di Monti non sia stata opera sua, è palese che prima con Bersani (a un passo dalla meta), poi con Letta (letteralmente scaraventato giù dalla poltronissima) e poi addirittura con se stesso, la sequela del killeraggio dei premier è sempre proseguita spedita e ininterrotta da quando lui è segretario del Pd.

Ci ha provato anche con Gentiloni, potete scommetterci. Ma col fedelissimo Paolo non poteva usare la ramazza come aveva fatto coi leader precedenti, o con la forca, usata pubblicamente su se stesso a dimostrare che il PD non fa favori a nessuno quando si tratta di combattere il potere (essendo fin dai tempi del vecchio Partito comunista l’arma migliore della “sinistra” per conquistare il voto degli elettori).

Si era sbagliato, quella tecnica non funziona più, ma lo ha onestamente ammesso quando, col nodo alla gola (causato dal nodo scorsoio), ha ceduto pro-tempore in blocco tutto il potere esecutivo al fidato Gentiloni.

Ora però che (a gennaio) la formalità del mea culpa era stata dolorosamente espletata, bisognava pensare all’Italia. Senza di lui a palazzo Chigi si vedeva benissimo che tutto era in affanno. La mancanza di una guida risoluta al vertice del governo poteva diventare un problema serio. Lo si è visto chiaramente quando, con l’avanzare della stagione calda, il flusso dei barconi ha cominciato a moltiplicarsi.

Ma prima bisognava occuparsi delle “amministrative”. Da segretario del partito doveva guidare il partito almeno a non perdere questa partita, visto che dopo il referendum sulle “trivelle”, vinto chiedendo alla gente di non andare a votare (cosa che la gente aveva già imparato benissimo a fare da sola) non ha più vinto nessuna competizione elettorale che non fosse la semplice conta interna dei suoi tifosi.

Se nel referendum costituzionale il risultato e’ stato una “batosta” memorabile, le amministrative non sono certo state un trionfo. Il vero problema è che, anche se lui non lo dice, la carica di Segretario è una carica che lui non ha mai amato per quello che era, e cioè un compito organizzativo.

Vero che di potere ne ha peraltro moltissimo in via indiretta, per l’immensa quantità di nomine ad altissimi livelli istituzionali che competono (di fatto) al segretario del partito di maggioranza, cioè a lui. Infatti, non ha mancato di far sentire il suo peso nelle scelte importanti.

Tuttavia, quello che lui ama di più è il potere diretto, quello cioè esercitato di persona, non quello indiretto di nominare altri, fuori dai riflettori. Su quella poltrona però adesso c’è Gentiloni, e sembra che anche a lui non dispiaccia restarci, almeno per il tempo che manca alla fine della Legislatura.

Che fare? Ci ha provato lungamente, a inizio anno, a cercare alleanze negli altri partiti per chiedere subito a Mattarella di andare alle elezioni anticipate, e così ripresentarsi subito dopo come “legittimo” candidato a guidare il governo della nuova legislatura. Niente da fare. Tutti, o quasi, gli giravano sempre le spalle. Come fare allora a far cadere il governo e aprire in extremis la porta a elezioni anticipate?

Ideona. Approfittando della massa di sbarchi sulle nostre coste, delle invettive della Lega e dei disagi e paure creati alla gente da questa disordinata e costosa invasione, cosa c’è di meglio che alzare più alta che mai la bandiera dell’accoglienza, vero faro di civiltà contro tutti gli egoismi e i razzismi.

E chi, meglio del partito leader dei progressisti può farlo?

Non esita un istante Renzi nel mettersi lui stesso alla guida di questa “crociata di civiltà e progresso per accogliere quei derelitti che nessuno vuole e che qualcuno vorrebbe persino respingere nell’inferno da cui provengono. I soldi e le case ci sono? No, ma “ce li darà l’Europa”. Ma devono andare Gentiloni e Padoan a chiederli, e tutti rispondono con una pernacchia.

Pazienza. “Intanto diamo però la cittadinanza a quei bambini che parlano italiano e vanno a scuola coi nostri figli” dice spesso Renzi. E del resto si può fare subito: la legge c’è già, scritta al tempo in cui Renzi poteva fare ciò che voleva in Parlamento, e serviva in modo semplicistico (come tutte le altre sue leggi) a risolvere sbrigativamente qualche problema, in questo caso quello di procurare nuovi contribuenti per via demografica.

Detto, fatto. Renzi ha fretta, vuole far approvare subito il suo Ius soli temperato e dare finalmente cittadinanza a chi ne ha pieno diritto. Lo avvertono che non c’è una maggioranza sicura. Lui alza la posta. “Mettiamo la fiducia”, dice.

La fiducia? E se si perde? Cade il governo. Si va subito ad elezioni anticipate. (Cioè quello che lui insegue instancabilmente da gennaio, anche se da giugno dice il contrario). Gentiloni e Padoan non ci cascano. Se ne riparlerà a settembre, o più avanti. Renzi, adesso, è isolato. Altra battaglia persa.

A me non dispiace. La cittadinanza a quei bambini (e a molti altri) può essere data in tanti modi. Un modo certamente migliore è quello indicato dalla presidente della Camera Laura Boldrini. Non è ancora quello che indicavo io nel mio articolo precedente, mirato a raggiungere un maggiore livello di integrazione anche culturale, ma almeno riconosce che la fretta (e l’inganno) quasi mai risolvono davvero i problemi. Forse mi sbagliavo quando dicevo che Renzi è intelligentissimo.

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