I ministri Calenda e Martina hanno firmato i decreti per introdurre in via sperimentale, per due anni, l’obbligo di indicazione dell’origine del grano e del cereale, così come avviene già per latte e formaggi
Dopo l’obbligo di indicare la provenienza scattato ad aprile per il latte e i formaggi, ora tocca al grano con cui viene fatta la pasta e al riso. Sono stati firmati ieri i due decreti interministeriali per introdurre in via sperimentale, per due anni, l’obbligo di indicazione dell’origine. Una novità accolta positivamente dalle organizzazioni agricole e da alcuni esponenti del Pd, mentre parte di Aidepi, l’associazione delle Industrie del Dolce e della Pasta Italiane, ritiene che possa confondere il consumatore con informazioni fuorvianti. Per Coldiretti, infatti, “è una decisione che risponde alle esigenze di oltre il 96% dei consumatori che chiedono che venga scritta in etichetta in modo chiaro e leggibile l’origine degli alimenti”. Diversa la posizione del presidente di Aidepi secondo cui l’origine, da sola, non è sinonimo di qualità e non è detto che il grano nazionale sia quello migliore. Ed ecco che ancora una volta la visione del mondo dell’agricoltura si oppone a quella dell’industria.
IN ANTICIPO RISPETTO ALL’EUROPA – La firma dei decreti è stata annunciata dai ministri delle Politiche agricole e dello Sviluppo Economico, Maurizio Martina e Carlo Calenda, sottolineando che i provvedimenti ricalcano la norma già in vigore dalla scorsa primavera per i prodotti lattiero caseari. In questo modo, tra l’altro, l’Italia si è mossa prima dell’Unione europea, che dal 2011 sta attendendo la piena applicazione al Regolamento Ue che disciplina le informazioni sugli alimenti per i consumatori. “È un passo storico che abbiamo deciso di compiere senza aspettare Bruxelles, spronandola a dare piena attuazione al Regolamento Ue del 2011 – ha spiegato Martina – e puntiamo così a dare massima trasparenza delle informazioni al consumatore, tutelare i produttori e rafforzare i rapporti di due filiere fondamentali per l’agroalimentare made in Italy”. Secondo Calenda “l’Unione europea ha dimostrato una lentezza inaccettabile su questo tema”, ancora di più perché “in un continente con le regole più ‘alte’ del mondo è inaccettabile che non si conosca il percorso di filiera di pasta e riso”.
COSA PREVEDONO I DECRETI – Il decreto con cui viene resa obbligatoria l’indicazione di origine sul grano con cui viene fatta la pasta prevede che l’etichetta delle confezioni di pasta secca prodotte in Italia dovranno indicare il Paese di coltivazione del grano e quello dove è stato macinato. Il provvedimento che riguarda il riso, invece, prevede le indicazioni sul Paese di coltivazione, quello di lavorazione e di confezionamento. Le informazioni sull’origine dovranno essere apposte in etichetta in un punto evidente, in modo da essere facilmente riconoscibili, chiaramente leggibili e indelebili. Entrambi i provvedimenti lasciano alle aziende 180 giorni di tempo per l’adeguamento al nuovo sistema, una fase di passaggio per provvedere allo smaltimento delle etichette e delle confezioni già prodotte.
IL PROVVEDIMENTO DIVIDE – Tra i più entusiasti l’assessore all’Agricoltura della Regione Piemonte e imprenditore agricolo Giorgio Ferrero (Pd). “È una svolta importantissima, che da tempo chiedevamo e che ora diventa concreta” ha detto. Ricordando: “Da mesi sosteniamo la necessità dell’etichettatura d’origine obbligatoria, una istanza che abbiamo portato con determinazione su tutti i tavoli locali e nazionali”. Per l’assessore piemontese “non sarà forse risolutivo, ma sicuramente è un enorme passo avanti che, insieme alla modernizzazione dei rapporti contrattuali e al rilancio della promozione del nostro riso può segnare una svolta innovativa per il settore risicolo e il rilancio delle nostre produzioni a livello nazionale e internazionale”. La novità piace anche alla Coldiretti. Il presidente Roberto Moncalvo (presente alla firma dei decreti) chiede che l’obbligo di indicare la provenienza venga esteso anche all’ortofrutta trasformata, “visto che ad oggi un terzo della spesa degli italiani resta anonima”. Secondo il presidente di Confagricoltura, Massimiliano Giansanti “è un segnale di sostegno alle nostre produzioni agroalimentari che si distinguono per qualità e sicurezza e che devono puntare sempre più sull’internazionalizzazione, anche attraverso accordi commerciali che rimuovono ostacoli e barriere tariffarie”. Positivi anche i deputati del Pd, Colomba Mongiello della Commagri e Dario Ginefra, secondo cui “l’accelerazione del Governo è una giusta risposta alla crisi del prezzo dei cereali italiani, depresso dal continuo afflusso di prodotti esteri anche di qualità inferiore”. La pensa diversamente Aidepi. “Siamo per la trasparenza verso il consumatore – ha commentato il presidente Riccardo Felicetti – ma questa etichetta invece di aiutare il consumatore a fare scelte consapevoli, finisce per disorientare e confondere”. Per Felicetti “si vuole far credere che la pasta italiana è solo quella fatta con il grano italiano o che la pasta è di buona qualità solo se viene prodotta utilizzando materia prima nazionale e questo non è vero”. Ed ecco servita l’eterna diatriba sulla qualità del nostro grano rispetto a quello estero, sulle importazioni e sui prezzi. La novità non ferma, almeno per ora, la guerra del grano.