Niente più post equivoci su Internet e sui social media: è stata approvata alla Camera una nuova norma “balneare” che consentirà di sequestrare direttamente i contenuti sul web. Ancora una volta, ed ancora d’estate, si interviene sulla censura della rete.
Solo che, rispetto a precedenti tentativi, questa volta il pericolo è molto più serio dal momento che la norma proposta dal parlamentare del Pd Davide Baruffi, vicinissimo al ministro della Giustizia Andrea Orlando, e da una manciata di deputati dello stesso partito, inserita “last minute” il 19 luglio nelle «Disposizioni per l’adempimento degli obblighi derivanti dall’appartenenza dell’Italia all’Unione europea – Legge europea 2017» e approvata il 20 luglio, se verrà confermata anche al Senato, entrerà direttamente in vigore.
Cosa prevede questa norma? Semplicemente che, su richiesta di chiunque, l’Agcom – l’Autorità Amministrativa che vigila sulle comunicazioni – possa disporre non solo la cancellazione del contenuto di un sito ma anche che lo stesso sito, provider, blog o forum (o anche tutti insieme i soggetti) impedisca che ci siano altre violazioni su Internet.
La norma si applica a tutte le piattaforme elettroniche, quindi anche a Facebook, Youtube, Instagram, Twitter fino a blog e forum. Il pretesto è il diritto d’autore che, come è noto, in Italia prevede che pubblicare anche pochissimi frammenti di una conversazione, di un articolo di giornale, o semplicemente di una conversazione critica sui social media, possa essere considerato una violazione e comportare la chiusura del sito. Tutto questo senza che, secondo l’emendamento approvato, la cosa venga mai sottoposta al controllo di un giudice.
Dal punto di vista dell’ammissibilità, l’emendamento è stupefacente: non solo le disposizioni comunitarie a cui si riferisce l’emendamento sono state già inserite in Italia (esattamente con il decreto legislativo 140 del 2006), ma le stesse statuizioni europee citate nel testo approvato prevedono esattamente il contrario di quello che Baruffi ed altri hanno fatto approvare alla Camera dei deputati. Gli articoli 3 e 9 della direttiva 2004/48/CE che secondo Baruffi darebbero ad un’autorità amministrativa il potere di “sequestrare” il web, prevedono invece che sia solo l’Autorità giudiziaria competente ad adottare, in casi limite, il potere di adottare misure cautelari sul web.
In Italia, invece, farà tutto l’Agcom: giudicherà anche se stessa se per caso qualcuno non dovesse essere d’accordo.
La norma europea prevede che se qualche malcapitato si ritrova il sito bloccato in virtù di una sentenza del giudice può presentare un reclamo ad un altro giudice e contestare la decisione di chiudere il sito (o il blog); in Italia a decidere sarà sempre l’Agcom. Dopo aver subito (senza saperlo probabilmente ed in tempi brevissimi) il sequestro del sito, il malcapitato italiano non potrà rivolgersi ad un giudice ma solo all’Agcom che deciderà sul reclamo: come si dice in gergo, “se la canterà e se la suonerà”.
Quindi capiamoci: si inseriscono, in una legge che dovrebbe evitare confitti con l’Europa e quindi procedure di infrazione, regole giustificate dal recepimento di una direttiva (precedentemente recepita) ma che affermano il contrario di quello che stabilisce la norma europea.
Non si capisce cosa abbia spinto il Partito democratico a questa “inversione a U” in materia di web soprattutto se si considera che l’attuale presidente del Consiglio, Paolo Gentiloni, è stato uno dei più fieri oppositori della concessione ad Agcom di nuovi poteri sul web, al punto di appoggiare diverse iniziative contro i bavagli dell’Authority. Presidente Gentiloni, cosa è cambiato?