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Milano, ecco il bunker 87: rifugio antiaereo “scoperto” grazie a un racconto del regista Ermanno Olmi

Attivo dal 5 ottobre 1940. Ottant’anni d’oblio e poi eccolo risorgere il 26 marzo 2011. “Sono trascorsi dieci anni prima che riuscissi a trovare qualche alleanza per ripulirlo da ogni pattume possibile immaginabile e renderlo nuovamente agibile” racconta Laura Barbirato. Cinquantacinque anni, è la dirigente scolastica dal 1996 di tre istituti scolastici, tra cui la scuola elementare Giacomo Leopardi di demodé 22, nel cui scantinato giace come muto testimone di se stesso questo museo della memoria

di Sara Cariglia

Se ne sente parlare ma in pochi lo conoscono. Non ci troviamo di fronte a un monumento di Giannino Castiglioni o a un quadro inedito di Lucio Fontana ma di fronte al bunker più démodé di Milano: il numero 87. Ottantasette, perché l’87esimo di 135 rifugi antiaerei allestiti durante la Seconda Guerra Mondiale dal Comune di Milano. Attivo dal 5 ottobre 1940. Ottant’anni d’oblio e poi eccolo risorgere il 26 marzo 2011. “Sono trascorsi dieci anni prima che riuscissi a trovare qualche alleanza per ripulirlo da ogni pattume possibile immaginabile e renderlo nuovamente agibile” racconta Laura Barbirato. Cinquantacinque anni, è la dirigente scolastica dal 1996 di tre istituti scolastici, tra cui la scuola elementare Giacomo Leopardi di demodé 22, nel cui scantinato giace come muto testimone di se stesso questo museo della memoria.

La Barbirato – il cui destino sembra intrecciarsi inesorabilmente a quello del bunker – è una donna tutta d’un pezzo, con a carico un totale di 1500 studenti che grazie alla sua intraprendenza ha saputo vincere una guerra. L’unica guerra giusta: la riapertura del bunker. Una guerra non d’attacco ma di difesa, quella per i diritti umani: “Ho una responsabilità nei confronti dei miei ragazzi, fare in modo che vivano i fatti della storia in modo empatico: quando studiano hanno sempre l’impressione di non sapere perché studiano quella cosa”. In effetti sono poche le testimonianze vive di partigiani o nonni che sappiano raccontare la storia in maniera diversa dal modo in cui la si legge sui libri di scuola laddove l’emotività non traspare.

Ma cerchiamo di descriverla meglio questa grande balena di Giona immersa a due metri di profondità, ampia 220 metri quadrati e provvista (eufemisticamente parlando) di ogni comfort: dieci stanze, due bagni alla turca, una cucina e un rubinetto per l’acqua.

Chiamarlo ambulacro sotterraneo è cosa giusta proprio a partire dall’atmosfera cupa e fatiscente che si respira non appena si varcano le sue porte. Uno spazio “a ferro di cavallo” diviso a metà: una parte adibita a rifugio pubblico, ripulita e visitabile, un’altra parte ancora da sistemare: quella che durante il periodo di guerra era destinata ai bambini e al personale scolastico. Il tutto volutamente lasciato allo stato d’origine proprio per dare la possibilità ai visitatori di calarsi in una realtà d’altri tempi. Seppur nel 2017 sia difficile pensare di entrare in sintonia con un luogo distante quasi un secolo. E soprattutto lo è ancor di più immaginare quei mille bambini e cinquecento civili che, allo scattare del roboante suono delle sirene, terrorizzati dal fischio delle bombe e dal rumore degli aerei, correvano giù per le scale, al buio, nel tentativo di salvarsi la pelle.

“Alle volte, durante i bombardamenti, i bambini erano attrezzati per fare lezione in modo da simulare una normalità che si sa, non era tale”spiega la Barbirato. Qualche banco d’epoca, qualche sedia o cattedra sparsi qua e là sono lì a testimoniarlo. Seppur da ventun anni a questa parte l’unica vera testimone di quel luogo abbandonato a se stesso è proprio la “preside”. Infatti, quando la Barbirato mise piede per la prima volta nella scuola, l’1 settembre 1996, non sapeva ancora cosa si nascondesse nel suo “ventre”. Lo scoprì solo dopo aver letto un libro regalatole da una delle maestre storiche dell’ex Rosa Maltoni Mussolini (nome originario della scuola costruita nel 1929. La maestra Maltoni era la mamma di Mussolini) prossima alla pensione. Si trattava di un testo di Ermanno Olmi:“Il ragazzo di Bovisa”.

E chi se lo sarebbe mai aspettato che Olmi, allora ragazzetto di nove anni, futuro regista, fosse iscritto alla scuola di viale Bodio? “Riscoprire attraverso gli occhi dello scrittore alcuni luoghi del “collegio” fu una grandissima sorpresa; tant’è che furono proprio le sue storie fatte di piccoli e grandi aneddoti a spingermi nello scantinato dell’istituto”. Complice Ambrogina, la bidella d’allora, custode di numerosissime storie. Alcune di loro lasciano il tempo che trovano ma altre chissà! Come quella che racconta di un cunicolo che da viale Bodio porta direttamente alla Stazione Centrale. “Serviva a mettere in fuga disertori e partigiani. Il passaggio è stato murato da una porta ma insieme alla Federazione nazionale cavità artificiali stiamo cercando di smurarlo”. Una cosa è certa, se ogni muro è una porta, il Rifugio 87 ha ancora tanto da raccontare.

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