Fu più facile del previsto. Vendere le frontiere divenne un gioco da deserto. Perché no, in fondo ognuno offre ciò che può essere appetibile per il mercato. C’è chi vende oro, uranio e petrolio. Altri vendono pesci o, in cambio, le licenze di pesca per chi ha i mezzi per farlo. Ed è così che dopo aver venduto le risorse, la terra commestibile e la mercanzia umana di passaggio, si giunse infine alle frontiere. Non è da oggi peraltro che i limes siano zone particolari per negoziare i commerci trans-frontalieri. Rimase molto poco da offrire e allora, vista la domanda di controllo che emanava dall’Europa, si passò alle frontiere di sabbia.
Il deserto dei Tartari che Dino Buzzati descriveva nel suo noto romanzo si realizzò dalle nostre parti. Anni di attesa nello scrutare l’orizzonte e l’assalto dei nemici per riempirsi di gloria, c’erano i Tartari e il deserto, la battaglia avrebbe dovuto cominciare. Il tenente Giovanni Drogo non aveva atteso invano. Coi nemici c’era la possibilità di mettersi in valore ai confini dell’impero. Quella notte però i Tartari non passarono il vallo di sabbia. Le frontiere si vendettero subito dopo per qualche milione di euro rinnovabili a piacimento.
Si trattava di andare alle radici profonde dell’invasione. Così veniva raccontata e giustificata la storia ufficiale di quel tempo. Ai confini del regno si stava in attesa della battaglia che li avrebbe resi immortali. I Tartari si erano nel frattempo travestiti da migranti, forse per confondersi col nemico. Le frontiere sono fronti, linee, punti immaginati, reticolati, muri, torri di controllo, fili spinati che segnano il confine tra il mondo civile e i Barbari. Un fronte in perenne stato dall’erta da quando si era avuto sentore della temuta occupazione che avrebbe cambiato il mondo allora conosciuto. Fu allora che si decise l’acquisto delle frontiere nel deserto dei Tartari. Un’operazione preparata e condotta con la consueta perizia. L’invio di agenti umanitari e di militari, diplomatici e uomini d’affari. Tutti sulla zona di confine, sottile striscia di territorio che separa ciò che dovrebbe rimanere unito.
Un fronte comune che si coalizzò per frenare l’avanzata del nemico dal deserto, per tacito accordo battezzato dei Tartari. L’acquisto delle frontiere non aveva preso troppo tempo. Qualche generale d’armata, minacce di ritorsioni e soprattutto denaro. Le frontiere cambiarono direzione, gestione e finalità. Comprate le frontiere si trattava ora di attendere l’arrivo dei Tartari. Temuti, attesi, voluti e sperati. Ad ognuno il suo nemico, ad ognuno il suo deserto e ad ognuno le sue frontiere. Le guide, i passeurs, i mediatori, i proprietari di ostelli e gli spacciatori di sabbia. Tutti in attesa di vedere le nuove frontiere capaci di arrestare l’avanzata dei Tartari. Passarono anni per il tenente Drogo, per i doganieri, per le mogli rimaste a casa, per gli ufficiali di carriera e per i Barbari. Al confine ora si stava davvero bene. C’erano chioschi umanitari, insegne, luoghi di culto, alberghi a ore, ristoranti informali e visite guidate al pozzo più vicino. Frontiere come investimenti mobili a seconda del vento e del tempo.
La confisca della sovranità nazionale era avvenuta come danno collaterale senza troppa importanza. L’acquisto delle frontiere aveva implicato altri affari e transazioni, ora non rimaneva che attendere loro, i Tartari. Passavano i mesi, le stagioni e gli anni. Il deserto si abitava di viaggiatori abbandonati come cespugli al sole. Le carovane degli schiavi continuavano a solcare il mare di sabbia. Gli ultimi a partire furono i bambini che credevano ancora all’esistenza dei Tartari.