La notizia è stata annunciata nel corso di un meeting internazionale sull’Hiv dell’International Aids society, la Ias conference on Hiv science 2017, che si svolge a Parigi fino al 26 luglio. La bimba sudafricana fa parte di uno studio più ampio sul trattamento precoce contro l’Hiv. Uno studio denominato Cher (Children with Hiv early antiretroviral therapy) che, dal 2005 al 2011, ha coinvolto 370 neonati
Ha contratto il virus che sviluppa l’Aids dalla madre alla nascita. È stata sottoposta a un trattamento precoce con un cocktail di farmaci antretrovirali solo per un periodo di dieci mesi nel corso del suo primo anno di vita. E per i successivi otto anni e mezzo non ne ha più avuto bisogno. È il terzo caso al mondo di minore che riesce a tenere a bada l’Hiv. La piccola paziente, una bimba sudafricana di nove anni il cui nome non è stato reso noto, è attualmente in una fase di remissione di lungo periodo e “non ha manifestato sintomi o segni di attività del virus”, scrivono gli studiosi dell’unità di ricerca pediatrica sull’Hiv presso la university of Witwatersrand, in Sudafrica, che da anni la tengono sotto osservazione. La notizia è stata annunciata nel corso di un meeting internazionale sull’Hiv dell’International Aids society, la Ias conference on Hiv science 2017, che si svolge a Parigi fino al 26 luglio. La bimba sudafricana fa parte di uno studio più ampio sul trattamento precoce contro l’Hiv. Uno studio denominato Cher (Children with Hiv early antiretroviral therapy) che, dal 2005 al 2011, ha coinvolto 370 neonati.
“Altre volte ci sono stati al mondo casi singoli di bambini con remissione dall’Hiv. Tra i bambini è più facile che ciò avvenga – spiega al fattoquotidiano.it Fernando Aiuti, professore Emerito di Immunologia clinica e malattie infettive alla Sapienza università di Roma -. Ma è, comunque, presto per dire di aver trovato una nuova terapia, o addirittura una cura contro l’Aids”. Come aveva spiegato al fattoquotidiano.it lo stesso Aiuti, commentando il caso di un bimbo italiano tornato sieropositivo dopo un trattamento antiretrovirale iniziato ad appena dodici ore dalla nascita, il virus dell’Aids è, infatti, subdolo. Lascia tracce indelebili nel sistema immunitario. E tende a nascondersi nell’organismo in alcuni tessuti cosiddetti santuari, come intestino, fegato e sistema nervoso, in attesa di tornare a colpire.
È già successo, ad esempio, con una bimba del Mississippi che ha ricevuto una terapia antiretrovirale nelle prime 30 ore di vita, e per 18 mesi. La bimba americana è rimasta 27 mesi senza trattamento. Poi, però, a differenza della piccola paziente sudafricana, il virus si è rifatto vivo. La stessa Avy Violari, a capo del team di studiosi sudafricani non riesce a spiegarsi le ragioni di questa lunga remissione. “È un caso molto raro. Non crediamo che la terapia antiretrovirale possa da sola portare a una remissione – spiega alla Bbc la scienziata -. Non conosciamo che cosa sia realmente all’origine di questa remissione. Pensiamo che le cause siano sia genetiche che legate in qualche modo al sistema immunitario”.
Nel mondo, secondo l’Unaids, sono circa 36,7 milioni le persone infettate dall’Hiv, ma solo poco più della metà di loro, il 53% ha accesso a terapie antiretrovirali. Le persone sieropositive hanno in genere bisogno di trattamenti quotidiani per contrastare il virus, ed evitare che distrugga le difese immunitarie dell’organismo. Per questo, sottolineano gli scienziati sudafricani, è fondamentale comprendere in che modo i bambini riescono a proteggersi dal virus. Potrebbe, infatti, rappresentare la via maestra per giungere a un vaccino contro l’Aids. “Saranno necessari ulteriori studi per capire che cosa induce una remissione a lungo termine nei bambini infettati da Hiv – afferma Anthony Fauci, direttore del National institute of allergy and infectious diseases Usa, che ha finanziato lo studio Cher -. Questo nuovo caso sudafricano rafforza, però, la nostra speranza di sottoporre a trattamento i bambini colpiti da Hiv per brevi periodi, a partire dalla primissima infanzia. Risparmiando loro – conclude l’esperto – lo stress e le conseguenze di terapie prolungate”.