Hackerare un pacemaker è possibile. E la società di Marco Carrai è in grado di farlo. Lo ha raccontato lo stesso imprenditore, intimo amico di Matteo Renzi, in un’intervista al Corriere della Sera. “Non voglio fare allarmismo. Ma si può staccare il pacemaker o dare impulsi diversi da quelli corretti con le conseguenze derivanti”, ha detto Carrai, che è tornato a parlare di una vicenda che lo ha riguardato personalmente nei primi mesi del 2016: l’ipotetica nomina al vertice dell’unità di cybersecurity di Palazzo Chigi.
“All’epoca il governo mi chiese se fossi disponibile io dissi di sì, ma poi non se ne fece più nulla perché si sollevò un polverone di polemiche. Ma io non do la colpa a Matteo Renzi“, ha detto l’imprenditore fiorentino, accusato a più riprese anche di conflitto d’interessi perché titolare di società attive nello stesso settore che avrebbe dovuto guidare per ordine del governo. “Il mio conflitto di interessi è il minore della storia della Repubblica italiana. E poi avevo già chiesto ai miei legali di fare un trust e di dimettermi da tutte le cariche sociali con conseguente diminuzione delle mie entrate economiche”, ha spiegato sempre Carrai al quotidiano di via Solferino. Ovviamente a volere fortemente Carrai al vertice della cybersecurity era Renzi, ai tempi in cui sedeva a Palazzo Chigi.
Dopo sei mesi di annunci e tentativi andati a vuoto, però, nel giugno del 2016 l’ex premier aveva dovuto rinunciare. Come raccontato dal Fatto Quotidiano, a fare sfumare la nomina di Carrai era stato il “costante e crescente pressing” da parte dell’intelligence statunitense. A preoccupare gli Stati Uniti sarebbero per lo più gli interessi economici dell’imprenditore toscano a Tel Aviv e le sue amicizie israeliane. Come quella con il discusso Michael Ledeen, già finito in un’inchiesta dell’Fbi che ha individuato e smantellato una rete di agenti legati al Mossad intenta a sottrarre documenti riservati del Pentagono, e con l’ex ambasciatore di Israele a Roma, Noar Gilon. Ma soprattutto i rapporti diretti con il primo ministro israeliano Benjamin Netanyahu. Erano quei contatti che gli avevano sbarrato la strada verso la guida dell’unità di cybersecurity di Palazzo Chigi.
Oggi, però, l’ex aspirante 007 racconta di non sentirsi “uno sconfitto” per quella nomina sfumata. “Di certo – ha detto – la polemica sul mio nome almeno è servita per fare sollevare il problema e che è necessario un coordinamento serio sulla cybersecurity. Renzi e i suoi collaboratori lo avevano capito molto bene e prima di tanti altri nel mondo e il governo Gentiloni con il nuovo decreto della Presidenza del Consiglio ha continuato su questa giusta strada peraltro già tracciata dai precedenti governi”. Ma se Renzi vincesse le prossime elezioni, Marco Carrai accetterebbe di fare il ministro? L’imprenditore nega, augurando però al segretario del Pd di “tornare presto a Palazzo Chigi”. Nessun commento invece sull’inchiesta Consip che ha coinvolto anche Tiziano Renzi, padre del segretario del Pd. “Non parlo di questa cosa– ha detto Carrai – come ho già detto in passato provo solo dispiacere per ciò che è successo”