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Israele, non basta discutere sui metal detector per capire le violenze

I terribili episodi di violenza di questi giorni a Gerusalemme si sono così svolti: due soldati israeliani di guardia alla Spianata delle Moschee, Hael Sathawi e Kamil Shanan (non ebrei, ma drusi) sono stati uccisi da tre arabi israeliani. Gli assassini non erano ‘occupati’ ma cittadini israeliani non ebrei, con pieni diritti.

Sembrerebbe un racconto incompleto, perché privo della narrazione del travaglio che potrebbe comportare lo status di minoranza araba in uno Stato ebraico (il 24%), ma il quadro diventa più chiaro laddove si richiami la storia della cacciata degli ebrei dalla quasi totalità dei Paesi arabi (derubati di tutti i loro averi), che avrebbero fatto volentieri a cambio con lo status degli arabi israeliani.

In seguito all’omicidio dei due agenti, Israele si è adoperata per installare un metal detector nei luoghi dell’omicidio. Di congegni di questo o di altri tipi ve ne sono in tutti i luoghi sacri, Mecca in primis, che nel periodo del pellegrinaggio impiega oltre 100.000 uomini per la sicurezza. Si consideri, inoltre, che la Spianata delle Moschee è stata posta da Israele, dopo la Guerra del 1967, sotto il controllo delle autorità islamiche, limitandosi l’autorità israeliana a vegliare sulla sicurezza. Infatti, Israele ha siglato accordi con la Giordania, con i quali si è disposto che il Monte del Tempio sia gestito da una Fondazione Islamica (Waqf), che ha nominato la Giordania custode unico del sito e che concede ai non musulmani, ebrei compresi, di accedere al Monte del Tempio, ma non di pregarvi.

Non credo si potesse prevedere che l’iniziativa di Israele di installare un metal detector per evitare nuovi omicidi fosse motivo di indignazione; tuttavia, così è stato, col risultato che nella West Bank un arabo del posto, che ha condiviso tale indignazione, è entrato in un’abitazione di ebrei, dove ha accoltellato a morte tre persone, che celebravano la nascita di un bimbo, durante la cena dello Shabbat. Nei giorni seguenti abbiamo assistito alla profanazione di una Sinagoga in Turchia e ad un attacco presso l’Ambasciata d’Israele in Giordania.

Gli esperti di comunicazione interculturale che abbiamo compulsato spiegano che non si arriverebbe a conclusioni utili se si approfondisse il dilemma sulla installazione o meno di metal detector. Tuttavia, anche senza i pur validi esperti, saremmo giunti alla medesima conclusione. Non sono sola nel ritenere che la soluzione andrebbe cercata approfondendo lo studio del conflitto – che non riguarda solo Israele – con gli esponenti dell’Islam in Italia, meno condizionati dal teatro degli eventi, e con la necessaria serenità per fare del bene con un dialogo (non con luoghi comuni e vuote chiacchiere) imperniato sulla convivenza in generale ed in particolare nel Medio Oriente.